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Creare Senso Comune

22 Giugno 2017

La provincia nella quale sono nato e cresciuto, quella di Benevento, ha da poco festeggiato la prima promozione in Serie A della propria squadra di calcio. Una gioia collettiva che raddoppia quella dell’anno scorso, quando l’esordio fu in Serie B, e che fu vissuta anche come un riscatto sul dramma della terribile alluvione del 15 ottobre 2015. I due eventi sono imparagonabili, eppure un filo non tanto sottile li lega, poiché entrambi hanno riattivato un forte senso di comunità e generato un sentimento collettivo di riscossa.

E di riscossa la provincia di Benevento ha bisogno. I dati Istat mostrano ormai da anni un costante calo demografico, che lascia presagire nel giro di qualche decennio la scomparsa di numerosi paesi e lo spopolamento dei centri maggiori. In una provincia che non raggiunge i trecentomila abitanti, nemmeno l’aumento dei flussi migratori in entrata riesce più a compensare le partenze di chi va via in cerca di lavoro.

Il Mezzogiorno non ha mai smesso di generare emigrazione, sia interna che verso l’estero. Ma il fenomeno ha assunto ultimamente caratteristiche nuove. Vanno via giovani e meno giovani di ogni classe sociale, in cerca di professioni diversissime: partono cuochi e ingeneri, architette e infermieri, professoresse, camerieri, disoccupati e studentesse. Questi dati non sorprendono se si considerano i tagli ai finanziamenti di tutti i settori strategici che il meridione continua a subire, dall’università ai trasporti (il decreto Sblocca Italia, ad esempio, destinò uno scandaloso 98,8% del finanziamento per le infrastrutture ferroviarie alle zone da Firenze in su).

Il Sud, però, non è più solo in questa discesa a picco. Sebbene con ritmi molto differenti, è l’intera Italia che sta vivendo, sulla scia della crisi economica, uno sfaldamento sociale progressivo. I sette uomini più ricchi del paese possiedono più di quanto possiede il 30% più povero degli italiani. Crescono l’impoverimento delle classi lavoratrici, l’erosione delle classi medie ed una sempre più profonda frattura generazionale che spinge ad emigrare persino i giovani di quello che una volta era il ricco Nord-est.

Testimonianza ne è il dramma di Gloria Trevisan e Marco Gottardi, architetti veneti espatriati a Londra in un cerca di un lavoro dignitoso e morti nell’incendio della Grenfell Tower. Una tragedia, quella di Londra, che dimostra come la lotta di classe dall’alto verso il basso non sia qualcosa che accade solo in Italia. La torre, un blocco di appartamenti situato in un quartiere popolare ma visibile dalla zone lussuose circostanti, era stata ristrutturata pochi anni fa. L’autorità pubblica che la gestisce spese centinaia di migliaia di sterline per un rivestimento esterno che serviva ad abbellirla agli occhi dei vicini super-ricchi e che ha facilitato il propagarsi delle fiamme, ma risparmiò sui sistemi antincendio, nonostante le proteste degli inquilini.

La tragedia descrive bene la guerra ai poveri – non alla povertà – che sembra essere una delle caratteristiche del nostro tempo. Il trionfo del neo-liberismo rende il mondo ogni giorno più ostile ad una gran maggioranza di persone. Le politiche economiche di tagli e privatizzazioni dei servizi pubblici, diminuzione dei salari e disciplina dell’austerità stanno accelerando lo scontro fra capitalismo da un lato e democrazia e dignità umana dall’altro, con queste ultime male in arnese nella tenzone.

Che fare, dunque?

Creare Senso Comune.

Perché un cambiamento reale sia possibile, sono necessarie una mobilitazione popolare ed un’idea di comunità che si muovano ad un livello più profondo di quello elettorale. L’esperienza di Podemos in Spagna ha dimostrato che a volte è necessario fare un passo al di fuori dei linguaggi e delle pratiche consolidate della sinistra per poter praticare un’azione politica di emancipazione. Ma ogni paese funziona a modo suo. In Gran Bretagna, ad esempio, Jeremy Corbyn è riuscito a riportare il partito labourista su posizioni genuinamente socialdemocratiche dopo vent’anni di liberismo blairiano, restituendo linfa, vitalità ed appoggio popolare ad una formazione storica del socialismo europeo.

La lezione che dobbiamo trarre da esperienze così diverse è che non ci sono manuali per le lotte di emancipazione: capire le prospettive progressiste che il proprio paese ha da offrire richiede pazienza, umiltà e abilità di lettura, ma anche determinazione e capacità di cogliere le occasioni, rispetto per chi lotta da una vita ma coraggio per tentare nuove strade. Tutte caratteristiche che le forze che aspiravano al rinnovamento in Italia, negli ultimi anni, non hanno mostrato. Quel che hanno in comune i migliori fenomeni recenti di cambiamento politico – Podemos, Syriza, le mobilitazioni in appoggio a Bernie Sanders, Corbyn e Jean-Luc Mélenchon – è la simbiosi con un movimento popolare esteso ed entusiasta. Affinché questo possa nascere, il senso comune delle persone ha bisogno di scuotersi e mettersi in cammino. Con l’eccezione di Corbyn in Gran Bretagna, i fenomeni politici di rinnovamento sono nati sulla scia di mobilitazioni cittadine come gli Indignados o Occupy Wall Street: andando oltre le forme tradizionali di protesta, questi riuscirono ad ottenere simpatie ed appoggi senza precedenti nell’opinione pubblica dei loro paesi, modificando trasversalmente il senso comune della cittadinanza e aprendo la strada a cambiamenti politici impensabili anche solo un decennio fa.

In Italia, se si escludono i “Vaffanculo” del marketing digitale di Grillo e Casaleggio – la cui creatura politica ha dimostrato, nonostante la buona volontà di alcuni suoi esponenti, di non avere un progetto di paese e di essere disposta a titillare i peggiori istinti fascistoidi pur di rimanere sulla cresta dell’onda – non abbiamo assistito a movimenti così partecipati. Non che siano mancate giuste proteste e mobilitazioni – per il lavoro, l’ambiente, la scuola, i diritti – ma nessuna di esse è stata in grado di generare un movimento d’opinione ampio attirando la simpatia e l’appoggio della maggioranza della popolazione. E tuttavia le vittorie referendarie sui beni comuni nel 2011 e sulla Costituzione nel 2016 dimostrano che sotto la cenere c’è brace ardente. In mancanza di un movimento di cittadinanza che la ravvivi, c’è da mettersi in ascolto del senso comune delle persone, viverne i drammi, condividerne le speranze, trarre da esse gli elementi migliori che possano servire come leva del cambiamento.

Ma cos’è senso comune?

“Il senso comune ci dirà” – scriveva il rivoluzionario americano Thomas Paine – “che il potere che ha tentato di sottometterci è, fra tutti, il più inadatto a difenderci”. Si riferiva alla flotta inglese che minacciava i porti delle colonie ribelli, ma valgano le sue parole come monito a chi ancora crede che i leader e le ideologie neo-liberisti, responsabili dell’attuale stato di cose, possano porre fine alla crisi sistemica da loro stessi generata.

È senso comune che non si possa morire bruciati vivi perché i gestori del proprio appartamento decidono di spendere più in abbellimenti per compiacere i vicini ricchi che in sistemi antincendio per proteggere gli inquilini. È senso comune che le otto persone più ricche del mondo non possano possedere quanto il 50% più povero della popolazione. È senso comune che l’assistenza sanitaria debba essere gratuita, universale e di qualità, è senso comune che l’educazione debba essere pubblica e all’avanguardia, è senso comune che gli anziani abbiano diritto ad una vecchiaia serena, è senso comune che il lavoro di giovani e meno giovani, operai e professioniste, vada retribuito dignitosamente e protetto dai diritti, è senso comune che le leggi debbano salvaguardare ogni forma d’amore senza discriminazioni, è senso comune che allontanarsi dai propri luoghi debba essere un’opportunità e non obbligo, è senso comune che nascere o crescere in una nazione significa esserne cittadini, è senso comune che parità dei sessi vuol dire parità di opportunità, è senso comune che le perdite private degli speculatori non debbano pesare sulla collettività, è senso comune che la corruzione sia un veleno per le istituzioni repubblicane, è senso comune che le spese militari non possano essere superiori a quelle per la ricerca universitaria, è senso comune che piccole imprese e attività locali non debbano essere sacrificate ai colossi multinazionali, è senso comune che la varietà etnica e linguistica sia da sempre il tratto distintivo dell’identità italiana, è senso comune che un paese a rischio sismico e idrogeologico investa nella messa in sicurezza del territorio e non in grandi inutili opere, è senso comune che la cultura sia una risorsa e non un peso per l’economia, è senso comune che un paese ricco di sole, vento ed acque debba inseguire un’energia pulita invece del petrolio proveniente da dittature, è senso comune che la salvaguardia dell’ambiente e la lotta contro il cambiamento climatico siano sfide per la sopravvivenza umana.

Senso comune è una direzione che si intraprende insieme, insieme a compagne ed amici ma anche a volti poco familiari e persone con le quali non ci si conosce. Senso comune è la comunità di Benevento che si attiva per ripulire strade e case dopo l’alluvione, scavalcando ogni lentezza istituzionale, stringendosi assieme in un rabbioso, gioioso ed efficace afflato di solidarietà a cui partecipano semplici cittadine, centri sociali, rugbisti, associazioni religiose, precarie, rifugiati richiedenti asilo, studentesse, contadini, volontari sparsi, negozianti e studenti erasmus.

Senso Comune è sapere che è l’avversario a decidere il campo di battaglia e se si vuole combatterlo bisogna imparare a muovercisi. E il campo di battaglia non si trova solo nelle piazze, nei luoghi di lavoro o nelle istituzioni rappresentative. Il campo di battaglia è nella nuova sfera pubblica, che interseca televisione e social media, giornalismo ed intrattenimento. È, dunque, Senso Comune informare, discutere, confrontarsi, elaborare linguaggi, creare argomenti, dare nomi nuovi alle cose, stanare contraddizioni, rompere tabù, evitare cliché, far emergere con voce pubblica il silenzioso sommerso di un paese alla deriva, per esaltare le speranze che ancora lo guidano. È Senso Comune non aver paura delle emozioni politiche collettive, dialogare con quella metà delle Italiane e degli Italiani che sta rinunciando al voto perché non crede più che la politica sia una soluzione, piuttosto un problema.

È Senso Comune rompere l’isolamento in cui ognuno vive e vale solo per sé stesso, è Senso Comune trasformare i dolori e le speranze individuali in desideri collettivi di rinnovamento, senza i quali non c’è lotta di emancipazione che possa trionfare.

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