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Una risposta ad Oggionni: le ragioni del nostro populismo

13 Dicembre 2016

Simone Oggionni ha rivolto una critica sostanziale ad alcuni dei passaggi centrali del manifesto per un populismo democratico che, come Senso Comune, abbiamo lanciato alcune settimane fa. In particolare, Oggionni muove tre obiezioni:

– Il populismo da noi proposto consisterebbe nel trattare il popolo come “un tutto organico, un basso concepito come virtuoso e puro, in lotta contro un alto, altrettanto organico, moralmente corrotto”. Questa descrizione del popolo mancherebbe quindi di catturare la densità e la ricchezza di cui la società civile europea è dotata, fallendo in tal modo di apprezzare le differenze tra interessi contrapposti e l’esistenza delle intermediazioni. Questo complesso reticolato, secondo Oggionni, sarebbe già pericolosamente messo sotto scacco dal neoliberalismo, nel suo tentativo di fare tabula rasa dei corpi intermedi. Così, il populismo non farebbe altro che mimare ingenuamente le mosse del suo nemico, accelerando o quanto meno avvallando questo processo di disintermediazione.

– Il populismo porrebbe un’eccessiva fede nel ruolo del capo, affidando così le proprie sorti a un leader salvifico, il quale – coerentemente con il punto anteriore – aggirerebbe i corpi intermedi per stabilire un vincolo immediato con il popolo. Il capo carismatico, per Oggionni, starebbe quindi in perfetta antitesi a un’organizzazione capillare e strutturata, capace invece di generare protagonismo popolare e auto-governo.

– Infine, in un argomento appena abbozzato nonostante faccia riferimento al ‘punto più debole’ del nostro appello, Oggionni critica la nostra enfasi sul livello nazionale, nella convinzione che il livello minimo di intervento debba essere lo spazio europeo.

Iniziando a ritroso, risulta quantomeno paradossale che solo poche linee prima Oggionni si fosse riferito a Syriza come una forza capace di “ricostruire connessioni virtuose tra i settori popolari tradizionalmente in relazione con la sinistra e parti di borghesia intellettuale, produttiva, creativa coinvolgibili nell’ottica dell’interesse nazionale” (enfasi nostra). Lo stesso Oggionni quindi riconosce che le identificazioni politiche rispondono ancora a sollecitazioni nazionali e che è a partire da quel livello dove è possibile aggregare pezzi di società differenti. Il nostro documento non nasconde le difficoltà inerenti alla globalizzazione, né abdica una prospettiva internazionalista. Riconosce tuttavia che lo Stato non è (ancora) un attore del tutto obsoleto e che il sentimento nazionale costituisce un elemento aggregante reale e al contempo troppo delicato per essere lasciato all’irresponsabilità delle destre, le quali lo declineranno in termini sciovinistici e xenofobici piuttosto che patriottici. La negazione di dignità a questo senso di appartenenza concede quindi la possibilità che l’interpretazione prevalente di questo significante sia quella più retrograda, oltre a far sì che le forze progressiste vengano percepite come circoli culturali presuntuosi e distanti dai sentimenti popolari.

Quanto al primo punto, ci sentiamo scomodi con la definizione di populismo che Oggionni ci attribuisce e crediamo che solo una buona dose di malizia possa aver permesso di inferirla. Per noi, il populismo non è un’ideologia, ma una logica che attraversa in diversi gradi tutto lo spazio politico. Non ci sarebbe politica se non ci fosse almeno una sottile distinzione tra amici e nemici in ogni discorso politico. Ora, la scelta populista da un punto di vista strategico comporta mettere in primo piano questa dicotomia. Ma il popolo da opporre alle élite, nella nostra concezione, non è un datum: è il frutto di un processo di articolazione. È la creazione di una volontà collettiva a partire da una serie di domande eterogenee. Vista l’eterogeneità di queste domande e la mancanza di un minimo comune denominatore positivo, il collante non può che essere una tensione antagonista nei confronti delle caste economiche e politiche, orientata da principi di uguaglianza, giustizia sociale e democrazia. In questo modo, la concezione che abbiamo del populismo è politica e non moralistica. Il popolo è il frutto di un paziente lavoro di cucitura di interessi differenti e in quanto tale intrinsecamente impuro. È quindi un’alleanza e non un blocco compatto o uniforme.

A differenza della sinistra storica di cui Oggionni è rappresentante però, l’alleanza a cui noi pensiamo è quella tra settori sociali portatori di domande diverse ma altrettanto insoddisfatte, non un’alleanza tra pezzetti e rimasugli di un ceto politico ormai fallito, come nel caso emblematico di Sinistra Italiana. Oltretutto Oggionni non coglie qui che la frammentazione del corpo sociale e delle sue diverse istituzioni – le famose differenze a cui fa allusione – non può che essere una ricchezza solo nelle misura in cui queste differenze vengono mobilitate in un progetto coeso capace di incidere. In altre parole, solo nel momento in cui le differenze mettono da parte il proprio campanilismo e assumono una logica di equivalenza rispetto a un nemico comune, queste diventano davvero minacciose per gli interessi delle oligarchie. In tal senso, costruire popolo vuol dire creare un nuovo blocco storico tra settori diversi. La rivendicazione di purezza appartiene invece proprio a quella sinistra che pretende di mobilitare la società con metafore e simboli ormai incapaci di interpellare al di fuori di una ristretta cerchia. La sterile pretesa di virtuosismo di cui si lamenta Oggionni è quella di chi non afferra che ogni processo di unificazione sociale non può che presupporre una mescolanza di simboli e suggestioni diverse, e non l’imposizione del bagaglio semiotico di chi pretende essere il centro aggregatore.

Altri punti toccati da Oggionni ci lasciano perplessi. Le casematte a cui faceva riferimento Gramsci, per esempio, non erano in se stesse un dato di fatto positivo. Gramsci cercava di analizzare attraverso quel termine la resistenza al cambio di una particolare formazione sociale, concentrandosi sull’insediamento pervasivo con cui una particolare ideologia agisce nel corpo sociale, modellando condotte, desideri, credenze. È importante tenere a mente che il neoliberalismo non prescinde dalle casematte. Prescinde da quelle che sono state alla base del consenso socialdemocratico. Ma questo non vuol dire che gli istituti privati adibiti alla trasmissione di determinate coordinate abbiano cessato di esistere. L’esaltazione delle casematte senza ulteriori distinguo non coglie che la società civile è il terreno di scontro privilegiato. Dentro questa arena gli elementi di senso comune più promettenti vanno riscattati e rilavorati in senso democratico, rigettando invece quelli che sono alla base della soggettivizzazione neoliberista. Non è quindi attraverso un’apologia acritica della società civile, ma mediante un lavoro di artigianato culturale al suo interno che sarà possibile dar vita a una nuova volontà collettiva.

Infine, il punto sulla leadership. A pochi giorni dalla pubblicazione della sua critica, Oggionni ci fa sapere attraverso i suoi canali Facebook del dispiacere provato per la morte di Fidel Castro. Non è quello di Castro uno dei casi più emblematici di leadership di un popolo ribelle, come lo stesso Oggionni lo definisce? Come negare dunque che il leader possa compiere un ruolo catalizzatore, sbloccando inerzie e mobilitando passioni altrimenti latenti? Siamo coscienti che non si possa estendere un assegno in bianco ai leader e che la deliberazione popolare non debba venir in alcun modo soppressa. Ma è necessario adottare una concezione più complessa. Il leader è il ‘luogo’ presso cui convergono una varietà di lotte e di aspirazioni di cambio. È colei o colui che da il là a un processo di trasformazione della società. È il punto di un investimento passionale radicale. D’altronde, non c’è comprensione senza passione, senza quella ‘connessione sentimentale’ con il popolo a cui lo stesso Gramsci aveva fatto allusione.

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