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Crisi e mafia nell’agricoltura siciliana

5 Luglio 2017

La Sicilia è una regione devastata da ogni punto di vista – soprattutto quello economico-sociale –, distrutta tanto dai proiettili di Riina quanto dalla corruzione della classe dirigente politica. Oggi, ci ritroviamo con una regione al collasso economico in molti dei suoi suoi settori chiave, soprattutto il comparto agricolo. L’agricoltura siciliana soffre di problemi cronici e strutturali, uno dei quali è sicuramente la limitata dimensione delle aziende agricole.

Le aziende agricole siciliane dispongono in media di 6 ettari di terreno che, seppur in aumento rispetto ai 3,7 dei primi anni 2000, è ancora troppo poco per andarsi a confrontare con le altre regioni. Ad esempio la Lombardia e l’Emilia Romagna, dove le aziende hanno una media rispettivamente di 18 e 14 ettari. Avere delle dimensioni così inferiori limita la quantità della produzione che porta poi ad avere un potere contrattuale nullo nei mercati.

Un altro dei grandi problemi è la mano oscura e mafiosa che si muove all’interno dei mercati ortofrutticoli. Nei mercati del Nord Italia, all’entrata dei mercati ci sono le cosiddette “mercuriali” che indicano il valore in quel momento del prodotto, ma queste mercuriali non sono presenti nei principali mercati siciliani e quelle volte che sono presenti può capitare che siano “sballate”.

Oppure molte volte è capitato un fenomeno curioso chiamato “doppia attività”, avvenuto più volte nel mercato ortofrutticolo di Vittoria, il più grande del Meridione. Nel mercato di Vittoria, esiste la figura del commissionario, che fa da mediatore tra l’agricoltore e l’acquirente e che ha il 10% di provvigione sul prezzo. Tuttavia, molte volte il commissionario che fa il prezzo del prodotto diventa anche acquirente dello stesso, ed ovviamente questa pratica strozza letteralmente i piccoli produttori; addirittura alcune volte si configura una “tripla attività” in cui il mediatore è al tempo stesso produttore ed acquirente: questo provoca la svendita del prodotto ad un prezzo praticamente nullo da parte del piccolo produttore.

Quando si parla di problematiche strutturali si intende anche e soprattutto la mancanza di acqua pubblica per irrigare i campi. Ebbene sì, praticamente quasi ogni singola goccia d’acqua di cui usufruiscono gli agricoltori è in gestione al privato ed è pagata a peso d’oro.

I problemi strutturali sono molti ed alcuni rientrano soprattutto nella sfera macroeconomica, come per esempio il libero mercato senza alcun freno. Sentiamo spesso parlare di importazione di olio tunisino o delle arance arrivate dalla Spagna: questa importazione provoca dei seri danni al mercato agricolo. Importando prodotti a basso prezzo da Paesi dove la manodopera viene sfruttata e dove le aziende hanno meno della metà dei costi di produzioni e la metà dei controlli, il prodotto italiano è costretto a svalutare il proprio prezzo nel primo passaggio da produttore a grande distribuzione per cercare di reggere la concorrenza con i prodotti esteri, ma poi la grande distribuzione vende al consumatore il prodotto con una ricarica a volte del 300% – 400% sul prezzo originario d’acquisto.

Nella fantasiosa e perversa mente del libero mercato, accadono cose alquanto particolari; ad esempio la Toscana produce il 4% dell’olio extra vergine d’oliva, ma ne commercializza ben il 40%. Sorge spontanea la domanda di come possa accadere una cosa del genere. Una cosa di questa natura accade quando viene importato olio dalla Tunisia a prezzi stracciati perché magari usano pesticidi che in Italia sono vietati dagli anni ’60 e ’70.

Le soluzioni a queste problematiche sarebbero molte, come ad esempio incentivare la cooperazione tramite lo sviluppo di piani rurali sul modello spagnolo e riconoscere lo stato di crisi del comparto agricolo siciliano in modo da permettere la sospensione del pagamento degli oneri contributivi e fiscali e delle rate di credito agrario in scadenza.

Seppur si sanno quali siano le problematiche e le soluzioni, i vari governi di centrodestra e di centrosinistra si sono disinteressati del comparto agricolo siciliano perché pur di mantenere lo stato attuale delle cose e la loro tela di corruzione e malaffare hanno deciso di far morire una regione e mandare sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie.

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