Comunità | Paese

Molise, Italia

6 Maggio 2018

Dopo le gioie per le vittorie del Napoli e del Benevento veniamo ai dolori, le elezioni regionali in Molise. Sono lontano da molti anni, vivo a Firenze dal 2001, e in tempi più recenti il mio distacco dalla politica locale che mi ha sempre appassionato (e tormentato) è stato notevole, ma non definitivo, perché, in fin dai conti, ho un osservatorio particolare, quello del mio paese, Riccia, che dal dopoguerra ad oggi ha giocato un ruolo importante nello scacchiere del potere regionale. E non solo in positivo. 

Negli ultimi tempi ho una percezione più chiara e lucida del declino che sta attraversando la regione. Ero un convinto sostenitore della strada della valorizzazione delle produzioni locali come scelta strategica in grado di aprire degli spazi di crescita. In questo settore, quello agro-alimentare, sono arrivati segnali positivi e ci sono delle produzioni eccellenti. Ma la crisi dal 2008 ad oggi ha sconquassato la mia regione. Nell’intera area del Fortore – e anche in altre analoghe zone interne e montuose – il livello di spopolamento è tale da non produrre più in loco delle forze e delle energie necessarie per ripartire e per risalire la china. I segnali sono preoccupanti e profondamente negativi, il rischio ormai prossimo è quello di una vera e propria desertificazione. Un dato: la mia classe, quella dell’82, era composta da quasi 70 ragazze e ragazzi, mentre oggi, nascono poco più di 20 bambini, muoiono più di 100 persone, molti emigrano. I conti sono presto fatti: la crisi demografica è grave e la classe politica ha fatto finta di non vedere e di non capire, cullandosi nell’idea che il declino demografico potesse rappresentare una sorta di “decrescita felice”. Esperti, tecnici e specialisti che si esaltano di fronte a questo scenario e lodano tali prospettive sono l’altra pesante zavorra da estirpare. Desertificare un territorio e pensare che sia ‘bello’ e attrattivo per il turismo è una forma di spoliazione sottile ma violenta e di espropriazione di qualsiasi forma di autogoverno locale. Non possono esserci proteste per chiedere lavoro e investimenti pubblici perché siamo ‘fortunati’ a vivere in una zona ‘sana’ e ‘bella’, lontano dalle insidie delle metropoli. Le politiche nazionali di sostegno alle piccole imprese agricole ai tempi della Dc e della Prima Repubblica erano sbagliate e obbrobriose, una forma di assistenzialismo pubblico da dimenticare e da estirpare, perché il mercato ci offrirà chance migliori.

E infatti il mercato da due secoli ci offre l’emigrazione come unica valvola di sfogo che da alcuni anni non produce più alcuna economia locale con le rimesse e gli investimenti degli emigrati in vista di un loro ritorno. La spirale è così pesante che si investe altrove, si compra casa altrove, si fanno progetti di vita e di lavoro fuori regione e spesso fuori nazione. A fronte di tutto ciò le forze politiche locali si dimostrano pressoché inadeguate, ad ogni latitudine politica. Il centro-destra ha distrutto la Regione e c’è un’area centrista e trasformista di notabili e di padroni dell’economia locale che determina il cambio di governo spostando pacchetti di voti. Così si spiegano la precedente vittoria del centro-sinistra e quella attuale del centro-destra. Tutto avviene grazie a delle liste civetta, pseudo-civiche, che migrano da uno schieramento all’altro. Il trasformismo raggiunge livelli ignobili, pertanto vi è una crescita forte e impetuosa dei 5stelle, che si trovano ad avere un consenso enorme, ma hanno poche figure politiche credibili e sono privi di uomini e donne attive nei territori. Non sarà facile per loro attrezzarsi in questa direzione perché si trovano a gestire rabbia, rancore e delusione senza incamerare energie, competenze, passioni e intelligenze. Forse in altre zone della regione il quadro può essere migliore, ma nel Fortore hanno percentuali da capogiro ma non esprimono un ceto politico in grado di diventare classe dirigente. Dimenticavo, il Pd e la sinistra non esistono quasi più. 

Devo ammettere con grande rammarico che non vedo più le forze in loco per cambiare rotta, il declino è ormai inarrestabile senza un intervento straordinario dello Stato per le aree interne del Mezzogiorno. Una legge speciale per i territori devastati dai terremoti dell’Italia centrale e per tutta la dorsale appenninica che sta morendo dall’Italia centro-meridionale fino alla Calabria dove i segni di tale declino sono ancora più drammatici. 

Tratturi e caciocavalli, poeti e tarantelle – che adoro e che studio e valorizzo come antropologo – ci servono per resistere e per affermare una identità culturale e forse anche per dare qualche opportunità di lavoro ma ‘solo’ con questi discorsi si accetta in buona sostanza la morte di migliaia di piccole comunità dove leggi del mercato, studi di settore e norme giuridiche e fiscali prodotte dallo Stato e dalla Ue stanno contribuendo alla distruzione del piccolo tessuto di commercio e artigianato che ancora sopravvive ma è ridotto allo stremo. E’ necessaria una visione dello sviluppo in grado di promuovere settori produttivi e creare infrastrutture moderne e non inseguire le illusorie aspettative del turismo come unica salvezza. Mentre si detassano i paradisi fiscali e le rendite speculative, si pensa che una zona montuosa e disagiata possa avere le stesse chance nel cogliere le opportunità di investimento offerte dal mercato globale rispetto a una zona urbana e sviluppata. La regione e il ceto politico locale che dovrebbero convogliare tali risorse verso il territorio, intercettarle e indirizzarle, sono incapaci e a volte anche una sorta di ostacolo, visto che in una regione così piccola il loro controllo sui paesi, le famiglie e le persone è pressoché totale. Anche quella del turismo culturale è una chimera e per un territorio come il nostro è una vera e proprio presa in giro. Non c’è turismo senza una rete locale di imprese e aziende ricettive, senza una guida pubblica capace di intercettare e guidare i flussi. Al massimo qualche romantico che scopre come è bello passare una estate a perdersi nei bar del Molise. Ma sono figure che tutto il resto dell’anno tornano in città e l’alcolismo dilaga nei territori incontaminati, belli e selvaggi allo sguardo miope e un po’ sciocco del turista fai-da-te. Beh, lo ammetto, sono molto infastidito da quelli che dipingono una regione che si sta impoverendo in maniera così grave come una sorta di paradiso e di piccola potenziale Svizzera. Siamo ormai stretti fra i due stereotipi del “Molise che non esiste” e quello opposto della piccola e bella regione dalla natura incontaminata. Fra le due versioni quella più seria è la prima, quella di Maccio Capatonda, almeno ha il pregio di mettere il dito nella piaga.

Di questo dobbiamo parlare, a livello politico nazionale, accettando con laicità e lungimiranza anche nuove ipotesi amministrative e la fine dell’autonomia regionale che per una piccola regione montuosa come il Molise ha rappresentato una bella utopia che si è tradotta in un incubo con la creazione di una casta di ottusi, rapaci e incapaci approfittatori che fanno da mediatori fra lo stato e le comunità locali e spesso sono un ostacolo e non una opportunità. La crisi ha ridisegnato la geografia dell’Italia centro-meridionale e non si può far finta di niente. Il Molise se non trova una strategia comune con il Sannio, l’Irpinia, la Daunia pugliese, la Lucania, etc. non ha nessuna possibilità di uscire da sola e con le sue forze dalla desertificazione e dall’impoverimento. La sanità locale è al limite del collasso definitivo ed è quasi inesistente. Per curarsi bisogna andare fuori regione. La scuola produce diplomati destinati all’emigrazione. Gli investimenti e i sacrifici delle famiglie vanno verso i grandi centri urbani dove si recano a studiare i loro figli. Il flusso migratorio verso il Nord Italia è costante ed è ripreso in pieno quello verso Inghilterra e Germania. La vicinanza con Roma non dà opportunità nuove ma aumenta la possibilità di fuga verso la capitale e alimenta un nuovo e complicato pendolarismo. 

I “big” della politica nazionale hanno approfittato del dramma di questa piccola regione per prolungare il penoso teatrino delle consultazioni per formare un nuovo governo ma nessuno ha parlato dei problemi reali e delle prospettive future di un pezzo d’Italia completamente abbandonato dallo Stato e dai partiti. Qualcuno ha decretato a Bruxelles che eravamo diventati ricchi e ‘sviluppati’ e il Molise non fa più parte dei territori finanziati secondo le strategie dell’Obiettivo Uno. Per Salvini eravamo i ladri, oziosi e mafiosi che ostacolavano la crescita del Nord, ora siamo dei polli da spennare e dei diseredati da defraudare con le armi della retorica e del razzismo. L’8% alla Lega è il segnale più chiaro e drammatico della fine di una regione meridionale. Andare dietro a Salvini quando una possibile strada per il futuro è quella di cogliere e valorizzare in questi territori in preda alla desertificazione i flussi migratori in arrivo per rilanciare allevamento e agricoltura. Come fare? Qui viene la politica. Cominciamo intanto a capirci e a parlarne.

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