Cultura

Judith Butler : «Un populismo di sinistra per la democrazia radicale»

22 Gennaio 2017

Pubblichiamo la traduzione dell’intervista a Judith Butler di  Cécile Daumas uscita su Libération il 20 gennaio 2017.

Com’è arrivata l’America all’elezione di Trump?
L’elezione di Trump è il prodotto di molteplici cause. E, in generale, non bisogna mai accontentarsi di una sola spiegazione. Se diciamo che ci sono dei maschi bianchi che hanno votato per Trump, e ci focalizziamo sui motivi della loro emarginazione economica, ci dimentichiamo che il razzismo ha radici antiche negli Stati Uniti, e che ciò che noi qualifichiamo come “collera economica” si è coniugata con l’odio razziale per produrre questa situazione. La misoginia, in quanto destino simbolico della mascolinità, è ancora in primo piano. Allo stesso tempo, la paura del “terrorismo” e il desiderio di “sicurezza” sono diffusi negli Stati Uniti, come nella maggior parte dei paesi europei, e preparano il terreno al fascismo: nel delirio utopistico che lo ha portato al potere, Trump creerà posti di lavoro, riporterà la sicurezza, subordinerà le donne e restituirà all’America il suo candore. Ma non ci scordiamo che ha raccolto appena il 23% del voto popolare. Non è dunque in alcun modo legittimato a rappresentare il popolo. Una minoranza rancorosa ha avuto accesso al potere e oggi provoca una crisi democratica.

Alcuni intellettuali americani, soprattutto nelle università, hanno organizzato una resistenza contro Trump? Lei ne fa parte?
Noi ci proviamo a costruire un “movimento santuario” nelle università e domandiamo urgentemente alle autorità locali degli Stati federati di rifiutare di obbedire se vengono emanati ordini di espulsione per i clandestini. Dobbiamo nell’immediato mobilitare il sostegno di questi milioni di clandestini che vivono negli Stati Uniti e rischiano di essere espulsi. Avremo parecchio da fare e per molto tempo ancora, vista la grandezza del compito. Ci si può anche domandare se non è per caso arrivato il momento che compaia un terzo partito negli Stati Uniti, un partito largamente in grado di unire al di là delle origini etniche e di classe, e che incarni gli ideali di una social-democrazia non piegata ai valori neoliberali. Questo potrebbe essere un nuovo socialismo. In fondo, se abbiamo un nuovo fascismo negli Stati Uniti, può darsi che possiamo anche vedere emergere, dopo la campagna di Sanders, un nuovo socialismo fondato sui principi della democrazia radicale.

I populismi sono spesso spiegati dal punto di vista identitario e culturale: la paura di non essere più se stessi, la paura dell’altro. Una questione culturale o sociale?
Se riflettiamo sul “trumpismo”, il problema non è quello dell’identità, ma dell’economia, della persistente eredità del razzismo, del risentimento contro le élite intellettuali, del fossato che si è allargato tra chi ha fatto degli studi e gli altri. Trump ha liberato rancori e odi che covavano da tempo. Se è un populismo di destra, è un populismo che oggi sembra condurre dritto al fascismo. A mio avviso, un populismo di sinistra deve condurre verso una democrazia radicale. Infatti il termine “populismo” ha un significato molto differente in Francia e non è condiviso da tutti. Comprendo che, per la maggior parte della gente, sia un termine deprecabile. È percepito come l’espressione politica di un’ondata di sentimenti irrazionali. Ma non penso che sia considerato così in Argentina, per esempio, dove incarna una maniera di esprimere la volontà popolare. La maggior parte dei teorici della democrazia è d’accordo che quella della “volontà popolare” sia una questione spinosa, ma le descrizioni più intelligenti del populismo, come quella proposta da Ernesto Laclau, cercano di comprendere come delle fazioni, delle identità e degli interessi particolari diversi si possano legare l’uno all’altro senza perdere la loro specificità. Per Laclau, questo sforzo di “articolazione” di una serie di connessioni tra identità diverse è l’obiettivo del populismo. Non si tratta di una convergenza fascista verso una “volontà unica”, né dell’irruzione di un leader carismatico che sembra unificare il popolo. Naturalmente esiste un populismo di destra e un populismo di sinistra, e il populismo di per sé non costituisce una posizione politica determinata. Le solidarietà cui è possibile addivenire attraverso la triangolazione di diversi modi di comunicare e di mobilitarsi devono produrre una maggioranza di sinistra suscettibile di eleggere governo che si regge sulla democrazia formale e sostanziale.

Questi legami diventano visibili al momento di mobilitazioni del tipo Occupy o Nuit debout in Francia. Perché è così importante politicamente che i corpi si mobilitino?
La libertà di manifestare pubblicamente suppone che gli individui possano muoversi, riunirsi e rivendicare insieme qualcosa in uno spazio pubblico che permette movimento, ascolto, visibilità. Molti di coloro che manifestano contro l’austerità compaiono in pubblico come corpi toccati direttamente da queste politiche economiche catastrofiche. Nel momento in cui alcune persone si riuniscono per opporsi a delle espulsioni o reclamano cure sanitarie abbordabili o il diritto a passare da un paese all’altro, attirano l’attenzione del pubblico su dei bisogni essenziali come un tetto, le cure sanitarie, la libertà di movimento. I corpi si radunano per agire assieme – mai beninteso come un’unità perfetta – ma soprattutto per denunciare chiaramente l’attuale organizzazione della società che priva la gente di un alloggio, del cibo e delle cure mediche: in breve, della stessa possibilità di condurre una vita vivibile. È per questo che le misure adottate dallo Stato per restringere le manifestazioni e le adunanze sono molto pericolose. Ogni paese che si vuole democratico deve preservare la libertà di riunione. Per esempio, la Francia non deve normalizzare lo Stato d’eccezione. Se la sospensione delle libertà fondamentali è normalizzata in quanto “necessità”, allora a sparire è l’essenza stessa della democrazia. Nel contesto neoliberale, ma anche di rafforzamento dell’ossessione sicuritaria e di aumento della xenofobia, i diritti fondamentali – cibo, tetto, libertà di movimento, protezione contro la violenza – non sono più assicurati per un numero sempre crescente di persone, che siano o no in una situazione regolare. I movimenti sociali di sinistra che poggiano su delle adunanze hanno molto spesso, ma non sempre, delle aspirazioni democratiche: libertà d’espressione, di associazione e di riunione, ma anche diritto di vivere senza paura, di beneficiare delle condizioni sociali essenziali e di un contesto democratico in cui vivere.

Garantire una “vita vivibile” ad ognuno sarebbe uno dei fondamenti della democrazia…
Molti di noi vivono già una vita “screditata”, e troviamo un’indignazione legittima e incoraggiante in tutti gli “screditati”. Si tratta di tradurre l’indignazione, nella sfera politica, in un vasto appello per una democrazia inclusiva ed egualitaria. Nel momento in cui non c’è una visione democratica da parte degli screditati, la violenza e la vendetta appaiono come la soluzione. A mio avviso, non possiamo vivere una vita vivibile se non cominciamo a stabilire condizioni comuni di vivibilità. Per me un impegno democratico di base dovrebbe porsi questo obiettivo.

L’essere umano non si tiene in piedi da solo, lei dice…
Nel mio quartiere ci sono molti senzatetto. Dipendono dai servizi pubblici, e questi servizi non la smettono di veder diminuiti i finanziamenti ad essi riservati. Dipendono dalle istituzioni, come tutti noi. Nel momento in cui perdiamo le condizioni strutturali elementari delle quali abbiamo bisogno per sopravvivere, la nostra vita è in pericolo. Se una società è organizzata in maniera tale che lascia la gente morire piuttosto che fornire dei servizi sociali di base, possiamo affermare che qualcosa va terribilmente storto in questa società. Questo non si riassume solo nel fatto che il senzatetto è vulnerabile e io no. Per illustrarlo si può evocare, ad esempio, l’espressione popolare «passer à travers les mailles du filet». In un certo senso, questa dipendenza è universale: i corpi in generale hanno dei bisogni che devono essere soddisfatti affinché possano continuare a vivere. Ma è anche politica: nel momento in cui le società non si impegnano a fornire le condizioni di vivibilità, accettano implicitamente che alcuni non vivranno o, se riescono comunque a sopravvivere, ciò accadrà in condizioni che non sono sopportabili e che non dovranno essere accettabili.

[Traduzione di Tommaso Nencioni]

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