Esteri | Mondo

Cent’anni di Evita. “La giustizia sta dalla parte dei lavoratori!”

9 Maggio 2019

Non ha mai occupato un ruolo ufficiale nello Stato, né ebbe mai un incarico elettivo. I milioni di argentini che la amavano non ebbero mai l’opportunità di votarla. Si compiono 100 anni dalla nascita di una donna assurta alla categoria di mito. Senza dubbio potrebbe e dovrebbe essere studiata al di là delle passioni che ha risvegliato, ma privata di queste perde gran parte del suo fascino e della sua trascendenza storica. Senza questa aurea, questo soffio di vita, una biografia di Evita non è un’analisi, è una autopsia.

“Nessuno a parte il popolo mi chiama Evita. Hanno appreso a chiamarmi così solo i descamisados. Gli uomini di governo, i dirigenti politici, gli ambasciatori, gli impresari, i professionisti, gli intellettuali ecc. che qui mi fanno visita di solito mi chiamano Signora; alcuni addirittura mi chiamano in pubblico Eccellentissima o Degnissima Signora e ancora a volte Signora Presidenta. Quando un ragazzo del popolo mi chiama Evita mi sento madre di tutti i ragazzi e di tutti i deboli e gli umili della mia terra”. Lo scrisse nel 1951 nel suo libro-testimonianza: La ragione della mia vita.

María Eva Duarte de Perón, Evita, faceva i suoi discorsi a braccio, comprese che il contrario dell’ordine non è il caos, ma un ordine nuovo, e questo fu quel che impersonò, un nuovo ordine giustizialista [dal nome del partito peronista, n.d.t.] che non coniugò con la beneficienza, non credette nella vergogna ed innalzò nelle figure plebee l’orgoglio della Giustizia Sociale.

La sua vita ha tutti i contorni di un racconto che sembra ripreso dalla mitologia greca. La nascita a Los Toldos il 7 di maggio del 1919. Figlia di Juan Duarte y Juana Ibarguren. Il padre, ricco latifondista e politico conservatore di Chivilcoy, partecipò alle manovre del governo di espropriazione delle terre ai Mapuches. Los Toldos era una zona mapuche. Juana, sua madre, era una donna umile, rassegnata ad un posto secondario di fronte al potere del patriarca che manteneva due famiglie: quella legale e quella di Eva.

Visse in campagna fino al 1926, data nella quale il padre morì e la famiglia rimase diseredata e completamente priva di protezione, avendo dovuto abbandonare la Estancia dove vivevano. L’immagine di sua madre, con lei ancora molto piccola e i due fratelli, che giungono al funerale da cui vengono espulse con sdegno è di un dramma commuovente, un dipinto eccezionale dell’Argentina di allora.

La seconda parte di questa storia ha inizio nel 1936 quando Evita, a 15 anni, viaggiò a Buenos Aires. Lì comincia la sua lotta per diventare attrice, flirta con il mondo dello spettacolo, si sforza “ di essere qualcuno nella vita”, sono anni duri, di crisi sociale ed economica che inizi nel 1930 e generò una grande massa di migrazione interna in direzione univoca: dalle province verso la grande città in cerca di opportunità. Trovò lavoro alla radio interpretando la parte di donne famose della storia. Acquisì un vocabolario ricco ed inusuale, che ha lasciato frasi indimenticabili nella memoria popolare. Appare in riviste, partecipa a compagnie teatrali, fa un’incursione nel cinema. La domenica 26 di luglio del 1936, sul giornale di rosario La Capital, apparve la prima foto pubblica che si conosce con la seguente didascalia: Eva Duarte, giovane attrice che è riuscita a risaltare nel corso della stagione che oggi termina all’Odeon”. E apparve un’altra passione: fu una delle fondatrici della  Asociación Radial Argentina (ARA), primo sindacato dei lavoratori della radio.

Il terzo capitolo comincia il 22 gennaio del 1944 allo stadio Luna Park, in un evento di raccolta fondi per le vittime di un terremoto devastante nella città di San Juan. Lì Eva, a 24 anni, conosce Perón, vedovo di 48 anni. L’indimenticabile Roberto Galán ha sempre assicurato che fu lui a farli conoscere, e nessuno che gli crede. Soltanto un mese dopo stavano già convivendo, e questo fu uno scandalo per i commilitoni conservatori delle Forze Armate. Solo 5 giorni dopo allo scisma politico che comportò il 17 ottobre del 1945, Perón e Evita si sposarono a Junín e si dedicarono alla campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali di febbraio del 1946. Quelle che aprirono una frattura politica profonda in Argentina, la la frattura sociale già c’era da decenni. Il peronismo si contrappose praticamente a tutta la classe politica di allora, raggruppata nella Unione Democratica, e contro tutti i pronostici conquistò la presidenza. Eva ruppe i protocolli in vigore in quel tempo, le mogli dei candidati si limitavano ad un ruolo apolitico e “consono a ciò che ci si aspetta da una dama”, ma non fu quello il caso, partecipò e parlò in molti eventi pubblici, ebbe una voce ed un discorso suoi propri. In quei mesi innalzò la bandiera, di lunga tradizione, dei diritti politici delle donne. E nel 1947 fu lei ad annunciare alle argentine che il loro diritto al voto e alla partecipazione politica era garantito.

La tradizione indicava che Eva avrebbe dovuto essere la “prima dama” e le era riservata la presidenza della secolare Società della Beneficienza; però le signore dell’alta società le negarono questo onore adducendo la sua giovane età: “allora che sia mia madre a presiederla”, ribatté Eva con sarcasmo e poco dopo scuole l’organizzazione. I motivi li lasciò ben chiari: “No. Non è filantropia, non è carità, non è elemosina, né è solidarietà sociale, né beneficienza. Non è neppure aiuto sociale, anche se per darle un nome approssimativo ho scelto questo. Per me, è strettamente giustizia. Ciò che più mi indignava al momento del varo del programma di aiuti sociali era che lo qualificassero come elemosina o beneficienza”.

Questi gesti di sfida, i contenuti egualitari, i suoi atteggiamenti di donna potente senza sensi di colpa né falsa modestia le procurarono un’amore fuori dal comune da parte delle masse lavoratrici che la elevarono al rango di Santa, e un odio mai visto da parte dei settori anti-peronisti. Ezequiel Martínez Estrada non mancò di dire: “Questa donna aveva non solo la mancanza di vergogna della pubblica donna nella camera da letto, ma anche la sfacciatezza della donna pubblica sul palcoscenico … un’attrice capace di interpretare qualsiasi ruolo, addirittura quello di dama onorata …”. Attraverso la Fondazione Eva Perón portò a termine opere di portata enorme, ed i suoi nemici lo hanno riconosciuto criticando la qualità del cibo, delle cure e del vestiario che distribuiva tra i più umili.

L’acme della sua relazione con le masse fu senza dubbio raggiunto il 31 agosto del 1951, la gente le reclamava che si candidasse alla vice-presidenza e Evita giurava loro che non avevano importanza gli incarichi. Fu un dialogo spontaneo, naturale, con una aperta tensione. Ancora oggi non sappiamo perché “rinunciò agli onori ma non alla lotta”. Si mostrava dubbiosa, con voglia di dire di sì, glielo stava chiedendo il popolo, non poté dare quel no definitivo che arrivò giorni dopo tramite un discorso alla radio nazionale.

Un cancro all’utero si portò via la giovane che non ebbe figli e diventò madre di tanti. Donna di parole ben definite, sapeva che a volte il punto mediano non è il punto di equilibrio: “io, tuttavia, per il mio modo di essere, non sempre sto in questo punto esatto di equilibrio. Lo riconosco. Quasi sempre per me la giustizia si situa un po’ oltre la metà esatta del cammino …. Più vicino ai lavoratori che ai padroni!”

Da “Pagina12”, 7. 5. 2019. Traduzione a cura di Tommaso Nencioni

Articoli Correlati

Chi vincerà la battaglia sui vaccini?

Chi vincerà la battaglia sui vaccini?

Qualche mese fa India e Sudafrica hanno chiesto all’Organizzazione Mondiale della Sanità e all’ Organizzazione Mondiale del Commercio di sospendere i diritti sulla proprietà intellettuale dei vaccini, in modo da far accedere i Paesi più poveri ai brevetti che ne hanno...

Negli USA aumenta il salario minimo (grazie a Sanders)

Negli USA aumenta il salario minimo (grazie a Sanders)

Probabilmente conoscete tutti questa famosa frase di Gandhi: "Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi tu vinci". Gandhi, in realtà, non ha mai prounciato queste parole. La frase appartiene in realtà a Nicholas Klein, leader del movimento sindacale...