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Elusione e paradisi fiscali: una minaccia per la democrazia

5 Maggio 2018

Flat tax, IVA, diminuzione delle tasse. Nella politica il fisco è tornato di attualità. Mentre una parte politica è strenuamente impegnata nella proposta di tagliare ancora le tasse ai ricchi, ci si dovrebbe ricordare di cosa sono i paradisi fiscali: quello che consente alle classi più abbienti e alle aziende più potenti di evitare di pagare tasse in modo del tutto legale (ma non necessariamente lecito sul piano di un’etica pubblica o di un elementare senso comune di giustizia). È necessario affrontare questo tema per far uscire il discorso dalla caccia allo scontrino del piccolo commerciante, mettendo a nudo i sempre più evidenti privilegi che gode una ristretta oligarchia, a fronte di oneri sempre più forti messi sopra alla maggioranza lavoratrice della popolazione. Non solo per rimettere tali questioni in una prospettiva più equa e proporzionata (si può paragonare senza senso del ridicolo il professionista che non paga qualche migliaio di euro alla multinazionale che nuotando nell’oro evita l’esborso di milioni?), ma perché sta divetando un problema di democrazia sostanziale: una minoranza di privilegiati riesce a sottrarsi alle regole che per tutti gli altri sono pienamente vincolanti e a tratti eccessivamente pesanti. Una ingiustizia evidente. Per questo Senso Comune accoglie ed aderisce alla campagna di Podemos e della Francia Ribelle contro l’elusione ed i paradisi fiscali

1. Significato della tassazione

La tassazione riveste un ruolo storicamente centrale nella costituzione del moderno Stato, generando conflitti e contrasti: tanto la rivoluzione inglese nel XVII secolo che si concluse con la messa a morte del re Carlo I che la Rivoluzione americana che portò alla creazione dei moderni Stati Uniti, che la Rivoluzione francese vedono fra le loro motivazioni centrali le questioni del prelievo fiscale.

In linea generale la fiscalità riveste un ruolo centrale nella definizione della sovranità moderna in quanto attraverso di essa lo Stato acquisisce le risorse monetarie per il suo funzionamento, ma anche sancendo il legame di tutti i cittadini in un “patto sociale” che comprende diritti e doveri. E ciò rimane vero ancora oggi, in quanto si tratta dell’unico soggetto esistente che può imporre coercitivamente un prelievo di denaro, comminando sanzioni di fronte al mancato adempimento. Tale possibilità di imposizione coincide con la stessa possibilità da parte dei governi di indirizzare i comportamenti dei soggetti economici favorendo alcune attività o svantaggiandone altre.

Il fatto che un pezzo rilevante di società (ricchi, grandi aziende) riesca a svincolarsi da questi impegni, o a negoziarli con gli Stati su un piano di parità pare veramente allarmante per lo stato della democrazia.

2. Gli  scandali fiscali degli ultimi anni

Nonostante tutti considerino una ovvietà, venata di fatalismo, il fatto che i privilegi delle classi superiori si allargano ad una più o meno sostanziale immunità dagli obblighi fiscali (probabilmente a domanda diretta la maggior parte delle persone comuni risponderebbero a colpo sicuro che “i ricchi non pagano, portano i soldi in Svizzera”), in una serie di scandali degli ultimi anni sono uscite le prove inconfutabili.

  • Fra il 2008-10 un dipendente di una filiale svizzera della grande banca britannica HSBC, Hervé Falciani, ha diffuso dati sensibili su circa 130mila clienti e 20mila aziende offshore. Fra i nomi di coloro che usavano tali servizi per non pagare le tasse spiccano i nomi dello stilista Valentino, il campione del motociclismo Valentino Rossi, l’imprenditore Flavio Briatore in una lista di 7.499 italiani. Fra gli altri nomi eccellenti si leggono quelli dell’attore Christian Slater, del re di Giordania Abdullah II; del monarca del Marocco Mohammed VI; del nobile arabo Bandar Bin Sultan del principe del Bahrain Salman bin Hamad al Khalifa; del pilota di Formula Uno Fernando Alonso e del calciatore Diego Forlan, del cantante Phil Collins. Ma anche personaggi legati a governi autoritari o accusati di diritti umani, come il cugino del presidente siriano Assad, ministro del governo egiziano Mubarak, una figura legata al temuto dittatore di Haiti Baby doc Duvalier, e la figlia dell’ex pm cinese. Nonostante in forza delle sue rivelazioni diverse magistrature abbiano messo sotto torchio la banca britannica, Falciani è stato condannato dalla giustizia svizzera.
  • Qualche anno più tardi, nel novembre 2014 sono stati divulgati 28mila pp. di documenti su 548 accordi segreti fra il Granducato di Lussemburgo e 343 aziende (Da Pepsi a Ikea, da Apple ad Amazon, da Fiat a Starbucks) fra il 2002-10. Tali accordi garantivano alle imprese una tassazione estremamente bassa, a volte meno dell’1% sui profitti – danneggiando ovviamente l’erario degli altri Stati in cui tali soggetti avrebbero dovuto pagare. Fra le banche italiane: Intesa San Paolo, Ubi, Unicredit, Banca Popolare di Reggio Emilia, Banca Sella e Banca delle Marche. Da notare che Claude Juncker, il primo ministro lussemburghese in carica durante la stipula di tali accordi, è diventato capo della Commissione europea nei mesi in cui lo scandalo è diventato di dominio pubblico, e a fronte di una mozione di sfiducia di alcune forze dell’europarlamento è stato difeso, senza veegogna, tanto dal gruppo dei socialdemocratici che dai popolari.
  • Poco dopo esplode una nuova rivelazione, dei cosiddetti “Panama Papers” (gli autori dell’inchiesta hanno ripreso il nome dalla fuga di notizie che negli anni Settanta, i “Pentagon Papers”, rivelo i crimini di guerra commessi dagli Usa in Vietnam). La mole di documenti – ben 11,5 milioni degli anni 1970-2015 – nonché la loro datazione, che consente di risalire indietro nel tempo, hanno fatto parlare della più grande fuga di notizie della storia in ambito di elusione fiscale. Tale patrimonio viene della Mossack Fonseca, uno studio legale panamense, specializzato in consulenza in materia di costituzione di società offshore;le ice informazioni sono dettagliate su oltre 214.000 società e 14mila clienti. Fra i nomi eccellenti sono coinvolti sei capi di Stato in carica (Emirati Arabi, Argentina, Ucraina, Arabia Saudita, Islanda); ex primi ministri o capi di Stato di Georgia, Giordania, Ira, Qatar; alti funzionari, o parenti di governanti di 40 paesi. Si leggono i nomi di circa 550 banche che, attraverso Mossack Fonseca hanno creato più di 15 mila società offshore.
  • L’ultimo, scandalo, scoppiato solo pochi mesi fa è stato denominato dei Paradise Papers. Sono stati diffusi 13,4 milioni di documenti il 5 novembre 2017 su 120mila clienti e aziende quali Facebook, Twitter, Apple, Disney, Uber, Nike, Wal-Mart, Allianz, Siemens, McDonald, Yahoo, e società offshore create dai Legionari di Cristo (tale potente congregazione aveva società collocate nel Delaware, a Panama, nel Jersey e in Lussemburgo). Fra i nomi coivolti compaiono la Regina d’Inghilterra e di Giordania, il cantante Bono, Madonna, il ministro al Commercio Usa, e George Soros. I documenti provenienti da due studi legali specializzati in consulenze in materia fiscale: Appleby, fondato nelle Bermuda, con nove filiali in altrettanti paradisi fiscali; e Asiaciti Trust, con quartier generale a Singapore e altre 7 sedi in luoghi come isole Cook, Hong Kong, Panama e Samoa.

Tale serie, assolutamente impressionante, di prove, apre un raggio di luce su un mondo che conta su un livello di complicità e acquiescenza indubitabile, e dimostra chiaramente come l’oligarchia dominante trovi conveniente svincolarsi dagli oneri imposti ai comuni cittadini, vedendo ricorrere alle medesime strutture politici in carica, leader religiosi, terroristi, sostenitori di dittature e regimi, mafiosi e criminali.

3. Concetti di base e stime del fenomeno

Come concetto di base, va distinta l’evasione fiscale dalla elusione. La prima consiste nell’infrangere la legge, la seconda nell’approfittare delle falle di essa. Secondo uno studio giuridico quest’ultima infatti, “Denominata anche “tax avoidence” consiste in un comportamento del contribuente teso ad evitare il pagamento di tributi senza violare la legge e senza , quindi, incorrere in alcuna sanzione da parte dell’Autorità. Essa costituisce un comportamento teso ad utilizzare strumentalmente le carenze dell’ ordinamento, in modo tale da non far sorgere in tutto o in parte un obbligo tributario” (Palmieri, 2009).

Quindi formalmente il soggetto è in regola con le leggi, sia pur avendo un comportamento non consono ai principi generali di esse – per non parlare di etica pubblica.

Le stime sono necessariamente approssimative, dato che l’opacità rappresenta il carattere strutturale del fenomeno. Si può citare alcuni studi per rendersi conto dell’ordine di grandezza delle cifre. Distinguiamo fra le valutazioni riguardanti l’ammontare di denaro perso dall’erario pubblico, e quelle che cercano di calcolare le masse di capitali occultati.

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Una recente ricerca (presentata a novembre 2017) sulla elusione fiscale sui profitti d’impresa (quindi non inclusiva della ricchezza dei privati) da tre autori riporta le seguenti risultanze:

  • Il 45% dei proditti di multinazinali vengono dirette verso paradisi fiscali, più di 600 mld di euro nel 2015;
  • Annualmente le aziende globali risparmiano circa 200 miliardi di euro.
  • L’Unione europea nel suo complesso perde circa il 20% dei propri proventi
  • Irlanda, Olanda e Lussemburgo ci guadagnano imponendo tasse basse (tassi del 2-3%)
  • I paesi a maggiore pressione fiscale competono reciprocamente disputandosi a vicenda i proventi fiscali anziché combattere i paradisi fiscali.

Bastino due immagini provenienti dalla stessa ricerca a dare l’idea della gravità del problema: la prima mostra la quantità di profitti per ciascun paese dell’Unione in paradisi fiscali in Ue e in altre giurisdizioni. Si noti la posizione piuttosto compromessa della Germania.

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In secondo luogo si veda la differenza fra i profitti reali di Google e quelli registrati come tassabili.

 

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L’offerta di servizi fiscali

La gestione di grandi patrimoni privati o dei profitti aziendali in modo da aggirare le regole del fisco non può avvenire senza l’assistenza di specialisti. Si tratta di un intero settore la cui ragione d’essere è aiutare ricchi e compagnie a pagare il meno possibile alle autorità nazionali – compaiono in questo campo espressioni piuttosto eufemistiche: pianificazione fiscale, ingegnieria fiscale, ottimizzazione fiscale … Fra essi annoveriamo le seguenti categorie:

  • le grandi banche d’affari internazionali, che hanno avuto un ruolo centrale nell’innescare la crisi globale del 2007-08, gestiscono un pacchetto di attività finanziarie di più di 12mila mld di euro nelle zone più opache dell’elusione fiscale; molte di loro hanno avuto ingenti aiuti di Stato per evitare il loro collasso.
  • I “paradisi fiscali” sono le cosiddette giurisdizioni fiscali “offshore”; in assenza di una definizione comunemente accettata, ci riferiamo a quella dell’OECD 1998: 
  1. Tassazione su redditi da capitale bassa o inesistente
  2. Regime speciale per aziende straniere
  3. Mancanza di trasparenza sulla proprietà
  4. Nessuno scambio di informazioni con altre giurisdizioni o paesi.

Nonostante l’opinione comune tenda a identificarli con sperdute isolette dal clima tropicale nel mezzo dell’oceano, la tipologia è molto varia. Ne fanno parte, effettivamente, luoghi come le isole caraibiche (Cayman, Vergini Britanniche, Bermuda, Bahamas), in cui hanno sede il 52% dei fondi speculativi. In queste solamente mettendo assieme alcuni dati si disvela l’entità della truffa finanziaria: alle Cayman risultavano intestati all’indirizo di un singolo edificio ben 18mila imprese (GAO 2008); nelle Isole Vergini con 27800 abitanti sono presenti le sedi legali di 840mila imprese. 

Ma nei vari elenchi compaiono anche Svizzera, Lichtenstein, la City di Londra, il Delaware, il Nevada, l’Olanda.

  • Società di consulenza e studi legali specializzati: i soggetti che hanno le competenze per mediare fra fornitori e clientela.

La domanda di servizi fiscali

I soggetti che richiedono (ed ottengono) i servizi che garantiscono una impunità fiscale possono essere classificati come segue:

  • Privati abbienti: dagli anni Settanta si diffonde la ricerca di servizi di “pianificazione fiscale” per ceti inferiori a quelli dei super-ricchi; lo stesso autore precedentemente citato calcola che l’8% della ricchezza privata sia finita in paradisi fiscali. Presentando le sue stime Oxfam fa notare che tale dato smentirebbe i calcoli sulla diseguaglianza globale, dato che i più ricchi eludono in misura maggiore, vi sarebbe una fetta di ricchezza in possesso dei paesi più abbienti non osservata, per cui il dato della ineguaglianza globale verrebbe significativamente rafforzato (circa 100mila persone, lo 0,001 della popolazione controllerebbe il 30% della ricchezza globale).
  • Il settore finanziario è un’altra porzione macroscopica di impunità fiscale, vista la difficoltà a far passare una tassa sulle transazioni finanziarie: anche in questo caso il livello di profitti rispetto alla tassazione risulta completamente sproporzionata. Pare appena il caso di accennare al fatto che le politiche di espansione monetaria della BCE hanno fortemente favorito il settore finanziario, in assenza di una regolazione più stringente che nel 2007-08 tutti dicevano di volere; ed invece nessun progresso è registrabile, meno di tutti un maggior prelievo fiscale.
  • Le aziende globali sono presenti in molti paesi, ottengono degli sconti fiscali sostanziosi (si veda lo scandalo Luxleaks sopra citato) e riescono a spostare i capitali in modo surrettizio vendendo prodotti a costi gonfiati da una succursale all’altra; in tal modo le somme ricadono legalmente sotto un’altra giurisdizione. E’ stato calcolato che circa 1/3 del commercio globale si svolge all’interno dello stesso gruppo aziendale.
  • Sistemi criminali: mafie e criminalità organizzata immettono gigantesche quantità di capitali, frutto dei proventi illeciti ovviamente non tassati. Al di là delle forme più famose di rapacità territoriale e predatoria (il famoso “pizzo”), tali soggetti hanno sviluppato una solida interconnessione con l’economia legale, fornendo beni e servizi efacendo network con aziende e soggetti economici di attività in sé non criminali, e parte della classe politica. Perciò si preferisce la locuzione “sistemi criminali” per designare tali contesti, il cui presupposto fondamentale è l’opacità finanziaria in cui svolgere le transazioni.

Le radici ideologico-politiche del fenomeno e il circolo vizioso del prelievo fiscale

Le ragioni di fondo di questa situazione, che stupisce tanto per la sua gravità quanto per la mancanza di sollecitudine da parte delle classi dirigenti, consistono nella dinamica fondamentale del nostro tempo riflessa sul piano ideologico nella dottrina neoliberista, e nella concreta realtà storico-sociale che tale pensiero realizza – o se si preferisce, nei concreti equilibri di potere vigenti che per legittimarsi adoperano una visine senza più credibilità scientifica o saldi fondamenti.

La visione ideologica consiste in una netta opzione di individualismo metodologico (solo i singoli esistono realmente) e valoriale (la utilità individuale è l’espressione più alta, istanze collettive sono insignificanti o bugiardose), cui corrisponde una aspirazione alla minima interferenza dello Stato e di istituzioni simili e al primato dell’impresa come soggetto economico.

Sul piano economico assume posizione di primazia assoluta l’interazione fra singoli fornitori/ produttori da un lato e consumatori dall’altro, il cui luogo di confronto è il mercato. Concorrenza e competizione sono le virtù principali richieste dal sistema; esse valgono anche per gli Stati e le autorità pubbliche, che trovandosi a “competere” reciprocamente innescano un meccanismo di abbassamento del prelievo fiscale, con un effetto di “corsa verso il basso”. Di fatto le classi dirigenti non possono che ammettere un limite a tale concorrenza, adducendo distinzioni simili: una concorrenza fiscale buona è fondata sull’utilizzo più efficiente delle risorse pubbliche, quella “cattiva” sarà meramente motivata dall’assecondare la volontà dei contribuenti di evitare il pagamento degli oneri pubblici. Tuttavia la distinzione diviene sfumata ed incerta, ed è certamente solo a motivo della impossibilità di sfidare l’opnione pubblica che tali limiti vengono asseriti. Una volta che gli ordinamenti fiscali siano in competizione, non si vede quale criterio superiore possa essere invocato per limitarne la portata. Ma ciò non si può dire apertamente, per cui alle ricorrenti affermazioni di impegno di combattere le forme di elusione fiscale corrisponde una sostanziale connivenza di fatto.

Il punto di contraddizione verte su due motivi ulteriori: da un lato l’impresa privata è considerata intrinsecamente migliore e più efficiente di quella pubblica, sempre bersagliata da campagne contro gli sprechi. Perciò le risorse sarà meglio lasciarle usare dal soggetto privato che trasfeire in una pubblica amministrazione.

Dall’altro fra i fattori economici vi è una asimmetria evidente, che l’individualismo metodologico sopra accennato tenta di mascherare: classi lavoratrici e cittadini normali non possegono le possibilità materiali di ricorrere ai servizi di ottimizzazione fiscale come grandi imprese e detentori di grandi capitali; né possegono la medesima mobilità, essendo i primi dipendenti da attività lavorative collocate in loco, mentre più facilmente i grandi capitali migrano in altri paesi – in specie il profitto specificamente finanziario, consistente in beni mobili per definizione che possono essere spostati con la velocità con cui si preme un pulsante.

La contraddizione così generata vede insomma il peso del prelievo fiscale sempre più sui soggetti meno mobili: cittadini comuni e piccole imprese, di pari passo alla diminuzione dei settori più abbienti. 

Si consideri per esempio la diminuzione del prelievo fiscale sui profitti d’impresa in Francia in pochi anni: 

 

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L’aggravamento degli oneri loro imposti (date le necessità del funzionamento dello Stato) vedono un senso di ribellione ad essi da parte di gran parte della popolazione, innescando proteste anti-tasse e stimolando una domanda di rappresentanza da parte dei ceti medi e delle professioni liberali (che riescono più facilmente ad evadere rispetto ai lavoratori dipendenti) diretta in tal senso; più probabilmente soddisfatta da movimenti e soggetti di destra regionalista o comunitarista (si pensi alla Lega Nord) o liberisti in salsa estremista. Si vede quindi come il fenomeno dell’elusione fiscale non solo stimoli o concorra alla evasione fiscale ma i limiti stessi del prelievo legale in ragione dei rapporti di forza sopra descritti.

Va aggiunta la considerazione che secondo lo scrivente una focalizzazione forte sul neoliberismo come piattaforma ideologica è limitante e non risolutiva. Nonostante sul piano ideale esso insegua e bandisca lo “stato minimo” che si limita a far osservare le norme di convivenza e i contratti, nella pratica concreta non solo è mischiato ad istanze di tutt’altro genere per nulla “minime”, quali la repressione del dissenso, l’imposizione di modelli sociali e comportamentali e simili (si pensi alle correnti religiose conservatrivi che invocano la mano pubblica per imporre il loro modello di virtù); ma in più sul piano economico ha bisogno di un forte intervento statale tanto regolativo che finanziario per consentire l’accumulazione dei profitti, tanto in termini di istituzione dei mercati – il cui funzionamento, lontano dall’essere spontaneo, costa molto come infrastruttura giuridico-legale, ecc – che per la costruzione e il mantenimento delle infrastrutture di trasporti e telecomunicazioni necessarie ad una economia avanzata.

Conclusioni e possibili prospettive

Le contraddizioni sopra accennate sospingono verso una polarizzazione crescente e una possibile avanzata di forze estremiste che si fanno carico della rappresentanza degli esclusi.

Una correzione del sistema è necessaria, perché il circolo vizioso individuato (infedeltà fiscale dei ricchi – spostamento del peso fiscale sui meno ricchi – rivolta morale ed infedetà fiscale di questi ultimi) porta facilmente all’abbassamento del necessario riconoscimento dei diritti universali. In termini di regolazione non esistono limiti tecnici insuperabili, si tratta solo di volontà politica. Per trovare alcune misure di contrasto si può consultare per esempio il poderoso rapporto della commissione senatoriale francese del 2012 che ne tratteggia alcune:

 

“Restaurare la forza del principio “UBI EMOLUMENTUM IBI ONUS”

“Imporre alle multinazionali la trasparenza contabile per singoli paesi”

“Prevenire piuttosto che guarire l’evasione fiscale”

“Far uscire i trust dall’ombra”

“Rafforzare la force de frappe dell’amministrazione”

“Approfondire la cooperazione fra amministrazioni europee”

In più si dovrebbero stabilire accordi di cooperazione giudiziaria che rendano le magistrature in grado di congelare i conti e di spiccare mandati di cattura per chi si rende colpevle si reati di carattere finanziario nel maggior numero di paesi, in maniera da porre fine ad una impunità vergognosa.

Ma la misura che lo scrivente considera fondamentale è la ricostruzine di una significativa sovranità politica sui flussi finanziari, in assenza della quale le misure coercitive sono inevitabilmente troppo lente o deboli per graffiare davvero. La assenza della possibilità di controllo su di essi (che molti paesi si sono auto-imposti, e che i trattati dell’Unione europea blindano in maniera grantica) disegna un panorama che corrisponde al modello della elusione fiscale. Secondo il filosofo Zygmunt Bauman, 

Trasparenza e flessibilità[della libertà globale della finanza] promettono maggior certezza per alcuni (i globali per scelta) e maggior incertezza per altri (i locali di necessità). I sostenitori e i militanti della trasparenza non sono gli ideologi della lastra di vetro, ma dei ‘vetri a specchio’: da una parte un paradiso per voyeur, dall’altra un’opportunità di guardare e contemplare la propria crescente miseria per coloro le cui difese, già terribilm ente inadeguate, sono state messe a nudo a vantaggio di tutti gli usurpatori presenti e futuri. I sostenitori e i militanti della flessibilità non perseguono la libertà di movimento per tutti, ma la vivificante leggerezza dell’essere per alcuni, che ricade come un’insostenibile oppressione del fato su tutti gli altri; il diritto di evitare le conseguenze per alcuni, il dovere di sopportare le conseguenze per gli altri.

Similmente, chi può sottrarsi alla tassazione secondo le pratiche elusive si colloca su di un piano di indipendenza e autonomia “globale per scelta”, mentre gli oneri ricadono sul cittadino comune, “locale di necessità”. Creando una differenza di diritti e possibilità che configura qualcosa di simile a una apartheid di cittadinanza di serie A e di serie B, con i primi che sostanzialmente si sottraggono al patto sociale e si svincolano dagli oneri che una appartenenza di cittadinanza comporta in termini di solidarietà (non determinata da ideali personali ma da strutture istituzionali).

Ma dato che essi devono in ogni caso rivolgersi al mondo dei “locali” per generare profitti e alle autorità nazionali per difenderli, una decisa pressione dal basso se riesce ad orientare gli Stati è senz’altro efficace in tal senso.

Si vede quindi quanto sia necessario parlare di più di questo argomento: non solo per semplici bisogni di cassa ma per la stessa natura della democrazia, nella misura in cui comprende una eguaglianza fra i cittadini in termini di diritti e doveri.

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