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Perché le politiche identitarie beneficiano la destra

23 Luglio 2018

Dopo oltre un anno di presidenza di Donald Trump, gli opinionisti cercano ancora di comprendere le elezioni e l’esplosione di intolleranza che ha seguito queste ultime. Una visione comune è credere che la vittoria di Trump sia stata una conseguenza del pervasivo razzismo della società americana. 

Gli studi chiariscono, tuttavia, che il razzismo è diminuito nel corso del tempo, tra Repubblicani e Democratici (la stessa visione dell’immigrazione si è evoluta in modo favorevole.) Inoltre, per quanto il razzismo abbia radici profonde e di lunga durata, fare riferimento esclusivamente a questo rende difficile comprendere le elezioni di Barack Obama e Trump, le differenze tra Trump e i due precedenti candidati repubblicani su temi come razza e immigrazione, e la drammatica disgregazione delle norme sociali e civili che hanno seguito le elezioni (gli scienziati sociali definiscono questo problema “la costante che non può spiegare una variabile”).

Questo non significa che il razzismo sia irrilevante; è importante, ma la scienza sociale suggerisce che lo sia in termini più complessi rispetto a ciò che suggerisce la cronaca. Dal momento che, probabilmente, se un aperto bigottismo è declinato precipitosamente, un più sottile e complesso risentimento rimane, comprendere come l’intolleranza modella la politica richiede l’analisi non solo delle convinzioni, ma anche della relazione tra convinzioni e ambiente in cui le persone si trovano. Questa distinzione ha implicazioni importanti per il modo in cui interpretiamo e affrontiamo i problemi sociali e politici contemporanei. 

Piuttosto che tradurle direttamente in comportamenti, gli psicologici ci dicono che le convinzioni possono rimanere latenti fin quando non sono “innescate”. In uno studio affascinante, Karen Stenner mostra in The Authoritarian Dynamic che mentre alcuni individui hanno “predisposizioni” verso l’intolleranza, queste predisposizioni richiedono uno stimolo esterno per essere trasformate in azioni. O, come un altro studioso sostiene: “È come se le persone avessero un bottone sulla loro fronte, e quando il bottone è premuto, diventano improvvisamente concentrate nel difendere il proprio gruppo di appartenenza … Ma quando non percepiscono questa minaccia, il loro comportamento non è insolitamente intollerante. Quindi la chiave è comprendere cosa preme quel bottone.”

Le minacce di gruppo sono ciò che preme quel bottone, sostengono Stenner e altri studiosi. Negli esperimenti i ricercatori spostano facilmente gli individui dall’indifferenza, o anche da una modesta tolleranza, alla difesa aggressiva del loro gruppo attraverso l’esposizione a queste minacce. Maureen Craig e Jennifer Richeson, per esempio, trovano che rendere gli americani bianchi consci che in un futuro prossimo possano diventare una minoranza aumenta la propensione a favorire il loro gruppo e diventare diffidenti verso chi ne è al di fuori (effetti simili sono stati trovati tra i canadesi. In effetti, anche se questa tendenza è più pericolosa tra i bianchi in quanto rappresentano il gruppo più potente nelle società occidentali, i ricercatori hanno costantemente trovato queste propensioni in tutti i gruppi.)

Basandosi su questa ricerca, Diana Mutz ha sostenuto recentemente che l’insistenza di Trump su temi quali la crescente immigrazione, il potere delle minoranze e l’ascesa della Cina evidenziano minacce e paure in particolare tra i bianchi senza un’educazione universitaria, inducendo una “reazione difensiva” che è stata il fattore più importante per la sua vittoria elettorale. Questa “reazione difensiva” spiega anche perché, nel periodo post-elettorale, le dichiarazioni razziste, xenofobe e sessiste e il capovolgimento delle tradizionali posizioni repubblicane sul mercato e altri temi hanno aiutato Trump – hanno mantenuto le minacce al centro e al fronte dei bianchi, provocando rabbia, paura e un forte desiderio di proteggere il proprio gruppo. 

Comprendere perché per Trump è stato semplice innescare queste reazioni richiede un’analisi dei cambiamenti più ampi operanti nella società americana. In un nuovo eccellente libro, Uncivil Agreement, Lilliana Mason analizza probabilmente il più importante: un processo lungo una decade di “classificazione sociale”. Mason nota che nonostante l’animosità razziale e religiosa sia sempre stata presente nel corso della storia americana, solo recentemente si è accuratamente allineata lungo divisioni faziose. Nel passato, il partito Repubblicano e Democratico attraevano sostenitori con differenti identità razziali, religiose, ideologiche e regionali, ma gradualmente i Repubblicani sono diventati il partito dei votanti bianchi, evangelici, conservatori e rurali, mentre i Democratici sono stati associati ai votanti non bianchi, non evangelici, liberali e cittadini delle metropoli. 

Questo allineamento di identità ha drammaticamente cambiato gli interessi elettorali: precedentemente se il tuo partito perdeva, altre parti della tua identità non erano minacciate, ma oggi perdere è anche un colpo alla tua identità razziale, religiosa, regionale e ideologica (Mason cita uno studio che mostra come, nella settimana successiva alla vittoria di Obama del 2012, i Repubblicani si siano sentiti più tristi rispetto ai parenti della sparatoria di massa di Newton o dei cittadini di Boston dopo l’esplosione alla maratona della città.) Questa classificazione sociale ha portato i partigiani di entrambi i partiti ad iniziare un conflitto basato su stereotipi negativi e addirittura demonizzazione (uno studio mostra minore approvazione verso i matrimoni tra gruppi diversi tra i sostenitori più accaniti dei Repubblicani e dei Democratici piuttosto che verso matrimoni interraziali tra il numero totale di americani).

Una volta che l’altro partito diventa un nemico piuttosto che un avversario, vincere diventa più importante del bene comune e il compromesso diventa un anatema. Una situazione del genere promuove anche valutazioni emotive piuttosto che razionali riguardo politiche e testimonianze. Rendendo le cose ancora peggiori, gli scienziati sociali credono che i sostenitori più accaniti, coloro che sono i più arrabbiati e mostrano sentimenti maggiormente negativi verso i gruppi esterni, sono i più attivi politicamente. 

Che cosa significa tutto ciò per chi si oppone a Trump e vuole combattere la pericolosa direzione impressa dalla sua presidenza? L’obiettivo di breve termine dovrebbe essere vincere le elezioni, e questo significa non aiutare Trump a irritare la sua base attivando il loro senso di “minaccia” e infiammando le rivendicazioni e la rabbia che li hanno portati a raccogliersi attorno a lui. Questo richiederà di evitare la tipologia di “politica identitaria” che sottolinea le differenze e crea un senso di competizione a “somma zero” tra gruppi quanto piuttosto porre enfasi su valori e interessi comuni. 

Stenner, per esempio, nota che “tutte le testimonianze disponibili indicano che l’esposizione alla differenza, parlare di differenza, e plaudire alla differenza … sono i modi più sicuri per aggravare l’intolleranza, e di garantire l’espressione aumentata delle loro predisposizioni in attitudini e comportamenti manifestamente intolleranti. Paradossalmente, quindi, sembrerebbe sia possibile limitare efficacemente l’intolleranza verso le differenze mettendo in mostra, plaudendo e parlando della nostra unicità … Niente ispira una tolleranza maggiore da parte dell’intollerante di un’abbondanza di credenze, pratiche, rituali, istituzioni e processi comuni e unificanti”. 

In relazione a ciò, una ricerca suggerisce che chiamare le persone razziste quando non si vedono in questo modo è controproducente. Come si è notato precedentemente, mentre queste persone sono veri bigotti, gli studi mostrano che non tutti coloro che esibiscono un atteggiamento intollerante possiedono un animo estremamente razzista. Inoltre, come ha fatto notare la psicologa di Stanford Alana Conner, se l’obiettivo è diminuire l’intolleranza, “dire alla gente che è razzista, sessista e xenofoba ti porterà assolutamente al nulla. È un messaggio minaccioso. Una delle cose che sappiamo dalla psicologia sociale è che quando le persone si sentono minacciate, non possono cambiare, non riescono ad ascoltare.”

Tutto ciò ha delle implicazioni ovvie per i recenti dibattiti riguardo la civilizzazione. L’inciviltà è centrale nella strategia di Trump – lo aiuta a galvanizzare i suoi sostenitori ricordando loro quanto “cattiva” e “minacciosa” sia l’opposizione. Da quando questo è diventato l’argomento caldo a sinistra, è importante essere chiari riguardo cosa sia l’inciviltà. Non esiste una definizione di democrazia che non accetti la protesta pacifica e altre forme di fragoroso attivismo politico. L’inciviltà riguarda la forma – non la sostanza; è costantemente definita dagli studiosi come inclusiva di invettiva, ridicolo, emotività, carattere istrionico e altre forme di attacchi personali o atteggiamenti che sfidano la norma. Impegnandosi anche solo superficialmente in tattiche simili, i Democratici sono complici dell’abilità di Trump al riguardo – come un sostenitore di Trump ha fatto notare, ogni volta che i Democratici lo attaccano “mi fa arrabbiare, il che mi porta a difenderlo ancora di più” – potenzialmente alienando gli elettori indecisi che pendono verso i Repubblicani, e aiutando ad allontanare il dibattito dalle scelte politiche, dalla corruzione e da altri temi determinanti. 

Naturalmente, esiste un doppio paradigma e questo, assieme al rilascio psichico che proviene dallo sfogo della rabbia e delle rivendicazioni costruite nell’ultimo anno, sono le giustificazioni offerte dalla sinistra per parlare di inciviltà. Ma contro queste deve essere soppesato l’impatto dell’inciviltà nelle prossime elezioni così come lo stato generale di salute della democrazia (gli studiosi sostengono spesso che l’inciviltà si diffonde rapidamente, genera rabbia e reazioni difensive, riesce a disattivare i moderati e attivare i più convinti partigiani, corrode la fede nel governo, la fiducia nelle istituzioni e il rispetto per i nostri concittadini.) 

Sul lungo periodo naturalmente l’obiettivo è riparare la democrazia e diminuire l’intolleranza e per questo proporre fratture trasversali alla società civile e alle organizzazioni politiche è assolutamente necessario (qui, i dibattiti recenti riguardo la diversità ideologica e il nuovo attivismo dal basso all’interno del partito Democratico sono rilevanti.) Gli studiosi hanno a lungo riconosciuto la necessità di fratture trasversali per una democrazia sana. In questo studio classico, I requisiti sociali della democrazia (The Social Requisites of Democracy), Seymour Martin Lipset, ad esempio, nota che “le prove disponibili suggeriscono che le possibilità per una democrazia stabile sono valorizzate nella misura in cui gruppi e individui hanno un numero rilevante di legami politici trasversali”. 

Più specificamente, una ricerca ha collegato fratture trasversali con la tolleranza, la moderazione e la prevenzione del conflitto. Anche questo ha implicazioni per i dibattiti contemporanei riguardo la “politica identitaria”. Ironicamente, la politica identitaria è allo stesso tempo più potente ed efficace per i Repubblicani (e i populisti di destra in generale) piuttosto che per i Democratici, dal momento che questi ultimi sono più omogenei. 

Pertanto, fino a quando la politica rimarrà una battaglia tra identità di gruppo perfettamente delimitate, gli appelli e le minacce all’identità di gruppo beneficeranno i Repubblicani più che i Democratici, che è presumibilmente il motivo per cui Steve Bannon ha scelleratamente rimarcato che “non ne poteva più” della “politica identitaria e di razza” della sinistra. “Quanto più parlano di politica identitaria … li ho in pugno … voglio che parlino di razza e identità … ogni giorno”. 

Inoltre, gli americani sono più divisi socialmente di quanto non lo siano riguardo le scelte politiche; c’è un significativo accordo anche su temi controversi come l’aborto, il controllo delle armi, l’immigrazione e le politiche economiche. Promuovere solchi trasversali e diminuire le divisioni sociali potrebbe pertanto aiutare l’implementazione di processi politici produttivi. 

Il nostro obiettivo finale è assicurare la compatibilità di diversità e democrazia? Allora promuovere interessi sovrapposti e identificazioni che permettano ai cittadini di essere maggiormente a loro agio con la diversità e quindi più tolleranti e fiduciosi, è assolutamente necessario. 

Da “The Guardian”, 14. 7. 2018. Traduzione a cura di Achille Conte

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