Cultura | Teoria

Di cosa si parla quando si parla di sovranità?

4 Luglio 2018

Carlo Calenda (Pd) ha lanciato, durante un’intervista a Radio Radicale, la proposta di una “costituente anti-sovranista” che aggreghi intorno al Pd le forze politiche di opposizione al governo M5S-Lega. A queste dichiarazioni è succeduto un articolo a mo’ di lettera aperta al giornale “Il Foglio”, in cui spiega in maniera abbastanza dettagliata i contorni di questa proposta politica. È con la costruzione del governi giallo-verde che la diade sovranismo/antisovranismo ha acquisito nel dibattito politico una connotazione strettamente politica, nel senso che definisce una faglia partitica che divide due schieramenti. Se infatti il concetto di sovranità è uno dei fondamentali della teoria politica moderna (da Jean Bodin, primo teorico nel XVI secolo all’opera fondamentale di Carl Schmitt, nel XX, passando per la sovranità popolare in Rousseau, solo per fare alcuni illustri esempi, ma esaurirla tutta significherebbe fare una storia completa della teoria politica moderna) e nel diritto costituzionale (caposaldo della nostra Costituzione Repubblicana, che ne parla nel primo articolo, giusto per fare un esempio noto), esso non aveva fino ad oggi una connotazione partitica, almeno nella politica italiana. Era un concetto base dello stato moderno, a cui chiunque si riconoscesse in questa forma politica non poteva che far ricorso, indipendentemente dalle idee politiche. Negli ultimi anni ha acquisito centralità politica soprattutto in relazione al processo di integrazione europea che implica delle cessioni di sovranità da parte dello stato nazionale o più in generale nel rapporto fra democrazia e i processi di globalizzazione. Il problema della cessione di sovranità e del “vincolo esterno” non si pone solo in questa fase, sia chiaro, ma si presenta ogni qualvolta si avvii un processo di costituzione di organismi sovranazionali (su questo è un esempio il dibattito nella fase costituente della Organizzazione delle Nazioni Unite). Tuttavia il caso dell’UE ha posto questo tema al centro del dibattito nei vari paesi membri. La Lega di Salvini è stata senza dubbio il soggetto politico che più ha favorito questa centralità concettuale della sovranità in Italia, autodefinendosi “sovranista”, proprio in contrapposizione al trasferimento in sede europea delle decisioni politiche. Soprattutto ora che la Lega è al governo questo ha prodotto una “reazione anti-sovranista”. Lo stesso presidente della repubblica Mattarella nella concitata fase di negoziazione per formare questo governo disse che “il sovranismo è inattuabile”, mettendo in discussione l’Art. 1 della Costituzione dello Stato di cui egli stesso è la prima carica. Le parole di Calenda hanno infine dato una definizione esplicita in termini di proposta politica, accogliendo questa faglia di divisione politica come la principale nella geografia politica italiana. Ma se come abbiamo detto, e come recita la stessa Costituzione nel suo primo articolo, la sovranità è un concetto fondamentale (nel senso che fonda, senza il qualche cioè tutta la struttura non si reggerebbe) dell’ordinamento politico degli stati moderni – almeno per come l’abbiamo conosciuta fino ad ora – che cosa significa definirsi anti-sovranisti?

In primo luogo bisogna comprendere che nelle democrazie moderne il concetto di sovranità è connesso con quello di democrazia: come recita il più volte citato articolo 1 della Costituzione italiana “la sovranità appartiene al popolo”. Il popolo cioè, attraverso le istituzioni politiche, esercita il proprio diritto all’auto-governo nell’ambito della sovranità delloStato-nazione. Questa struttura vincola quindi la democrazia o qualunque altro nome si voglia dare all’autogoverno di un popolo, alla sovranità esercitata dallo Stato.  Questa, almeno ad oggi, è la forma riconosciuta di esercizio del potere decisionale dei cittadini. Questa breve descrizione, che suonerà banale, degna di un’interrogazione in una classe di diritto del primo liceo, in realtà sembra non esserlo nell’attuale dibattito, come nelle parole di Mattarella succitate. Viene cioè dimenticata, messa da parte, a favore di una contrapposizione immediatamente partitica. Non vogliamo qui dire che il concetto di sovranità sia un dato immutabile di ogni ordinamento politico, infatti c’è una modalità cosciente e teoricamente rigorosa di mettere in discussione la sovranità. Si può essere anti-sovranisti, e questa posizione non manca nella teoria politica recente, nel senso della critica alla concettualità politica moderna. L’idea cioè che ci troviamo in una fase epocale di crisi della politica statuale moderna che impone una ridefinizione concettuale nell’ottica di una transizione ad un nuovo ordinamento post-moderno (o come lo si voglia chiamare) e a nuove forme di lotta. Questa posizione, che privilegia una partecipazione politica degli attori sociali autonoma, intesa come lotta dei subalterni su scala globale, non può essere attribuita alla posizione anti-sovranista dell’attuale dibattito politico, se non a minoranze irrilevanti della sinistra extra-parlamentare e movimentista.

Lo differenza si gioca piuttosto sul terreno del rapporto fra la sovranità statuale e forme sovranazionali di governo – in questo caso particolare, l’UE. Partendo da questo presupposto incontriamo una seconda possibile posizione, che però a ben vedere non è strettamente anti-sovranista, non mette cioè in discussione le forme moderne della democrazia rappresentativa, ma vuole ripensarle a livello europeo. Questa posizione non è quindi contro la sovranità in sé, ma contro la sovranità a livello dello Stato nazionale. Non ipotizza cioè radicalmente l’obsolescenza delle categorie politiche moderne, ma quella dello Stato nazionale nell’ottica della costruzione di uno Stato europeo di carattere federale. Questa posizione – rispetto al problema della sovranità – si potrebbe definire “sovranismo europeo”. L’idea è cioè che oggi sia possibile pensare un esercizio della democrazia solo in uno spazio superiore a quello dello stato-nazione. Questa posizione non nasconde il problema dell’esercizio della democrazia, lo affronta apertamente, risolvendo la disputa in favore di una sovranità europea. A ben vedere però gli attuali anti-sovranisti – a parte, anche qui, una rigorosa minoranza federalista europea – non assumono nemmeno questa posizione. 

Abbiamo infine una terza maniera di essere anti-sovranisti (o seconda, escludendo quello che abbiamo definito “sovranismo europeo”), che sapientemente evita il problema della sovranità come concetto politico fondante della democrazia moderna, e che per questo si nutre della banalizzazione dello stesso, trasformandolo in un mero elemento di connotazione politica. La posizione di Calenda, e del Pd, a ben vedere si situa in questo campo. Se infatti il “sovranismo” come concetto partitico nasce dalle contraddizioni generate dai rapporti con l’Ue, dall’aver ceduto sovranità come italiani, senza riconquistarla come europei (ammesso che si pensi possibile, e su questo i dubbi sono molti), questo anti-sovranismo scansa il problema del nesso fra democrazia e sovranità. La forma politica che difende di fatto è anti-democratica nella misura in cui accetta acriticamente la logica del vincolo esterno senza preoccuparsi della legittimazione popolare dei luoghi decisionali. Implicitamente si accetta l’idea della fine della democrazia, e nel suo screditare il “sovranismo”, letto come nazionalismo sciovinista, razzismo ecc.. di fatto confessa di aderire ad un modello di governance post-democratica. Mette in atto un’abile mossa di dissimulazione, si confessa il delitto (la sovranità e quindi la democrazia sono impraticabili), ma occultando la vera natura dell’assassinato, si cerca di uscirne impuniti. Se infatti sovranità significa razzismo, nazionalismo ecc… (e in questo ovviamente le responsabilità della destra nella costruzione di questa identificazione sono evidenti) quale sincero progressista potrà dirsi sovranista? Se invece sovranità significa riscostruire uno spazio per l’esercizio della democrazia il discorso si rovescia e il grande problema politico che ne sta alla base non può più essere eluso.

Il compito di una forza politica che punti ad una radicalizzazione della democrazia allora sarà lottare per strappare l’egemonia alle destre e alle sinistre del concetto di sovranità, rifuggendo questa identificazione fallace. Se infatti la destra sovranista affronta il problema della sovranità distorcendolo per piegarlo alle sue soluzioni reazionarie, la sinistra anti-sovranista opera la stessa distorsione per scansare il nodo problematico. Per capire la posta in gioco basta un po’ di teoria politica, per fare un’operazione egemonica ovviamente serve molto di più, ma alternative non ce ne sono, mettiamoci al lavoro. 

Articoli Correlati

Social: assalto alla democrazia

Social: assalto alla democrazia

L’assedio di Capitol Hill ha scioccato il mondo intero, rimasto basito a guardare l’assalto a quello che viene considerato il tempio della democrazia occidentale. La folla, aizzata dal Presidente Trump, è riuscita, per ben sei ore, a tenere sotto scacco il Congresso,...

Per un populismo ecologista

Per un populismo ecologista

Dall’(eco)comunità al nazional-popolare la contro-egemonia opera su diversi livelli, poiché possono coesistere la costruzione populistica del nazional-popolare con la visione decentrata del populismo. Dobbiamo tuttavia il concetto di contro-egemonia a quello di...

L’automazione è un falso problema

L’automazione è un falso problema

Negli ultimi anni si è parlato molto di automazione e trasformazione del lavoro. Alcuni autori tra cui accelerazionisti come Nick Srnicek e teorici del post-capitalismo come Paul Mason hanno sostenuto che l'automazione è all'origine della perdita di posti di lavoro...