Cultura | Teoria

Politiche trasformatrici e vincenti per una prospettiva femminista

23 Novembre 2018

La questione che vado ad affrontare in queste pagine nasce dal contributo della grande filosofa e politica femminista Clara Serra (2018) con la precisa intenzione di rispondere a qualcosa a cui noi femministe aspiriamo dal momento in cui ci è stato portato via: come possiamo conquistare il potere, e soprattutto come possiamo conquistarlo ed esercitarlo con successo, trasformandoci in qualcosa di egemonico e attraente per una società che fino a poco tempo fa ci escludeva dalla sfera politica e dal dibattito pubblico.

A questo punto, c’è chi potrebbe dirci che, in definitiva, il femminismo non dovrebbe prendere il potere, ma porvi fine. È il caso di alcuni movimenti politici che hanno legato l’emancipazione non all’idea di una disputa di egemonia e di istituzioni politiche, ma alla costruzione di una società diversa, alternativa e lontana dai nuclei del potere. Anarchismo, Zapatismo o le “comuni hippy” sono esempi di attori politici che hanno costruito un immaginario nel il quale è possibile combattere il potere dall’esterno, ponendo particolare enfasi sullo stare lontano dal sistema dei partiti, dalle istituzioni politiche o dallo stato (Serra, 2018: 21). Il femminismo non ha ignorato questi approcci: negli anni ’90, durante i quali si svolgeva il  dibattito tra il femminismo dell’uguaglianza e il femminismo della differenza, le femministe di quest’ultima tendenza hanno deciso di optare per la costruzione di un mondo esclusivo per le donne (un’”oasi” femminile) con regole proprie e, soprattutto, lontana dal patriarcato. Hanno rinunciato a contendere il potere in un mondo dominato dagli uomini. Come ha dichiarato la femminista Luisa Muraro, l’esclusione delle donne dal potere, nonostante sia un effetto del patriarcato, potrebbe essere un elemento positivo da utilizzare a nostro favore: poiché la porta al loro mondo ci era stata chiusa (e non proprio nel modo più educato), potremmo avere l’opportunità di decontaminarci dalle loro regole, dai loro modi di fare completamente patriarcali e costruire un mondo totalmente nostro partendo da una prospettiva femminista (Serra, 2018:22). Tuttavia, sembra che anche se la nostra più modesta intenzione è quella di fuggire dal potere (nemmeno conquistarlo), ciò risulta impossibile: non possiamo fuggire dal potere, perché non c’è niente al di fuori del potere. Non c’è una sola via di fuga non ne sia stata intaccata. Nelle parole di Foucault, citate dalla stessa autrice, è chiaro che

Se il potere proviene dall’esterno, è all’interno che forse potremmo rimanere incontaminati. Tuttavia, è ingenuo pensare che possiamo proteggerci dal potere indossando un impermeabile, perché da sempre ci ha fracassato le ossa.

Il potere, quindi, non può stare più fuori che dentro, perché ci costruisce, ci modella e allo stesso modo agisce  con le nostre passioni, i nostri desideri…. Ci trasforma in soggetti. In realtà, è impossibile, come spiega Ernesto Laclau, pensare a politiche di emancipazione senza essere consapevoli che questi rapporti di potere non sono sradicabili: non possiamo farla finita con  lo stesso potere che ci ha configurato come soggetti, ed è per questo che dobbiamo sempre partire dal trasformare il  reale.

A questo punto, potremmo scartare ogni ipotesi di contrastare il patriarcato e cadere nel pessimismo assoluto, ma è chiaro che, se così fosse, non potremmo nemmeno considerare una politica di emancipazione. Si tratta di riconoscere che il potere non è qualcosa di coeso, che non è razionale in tutta la sua struttura: il potere produce anche fratture ed è in queste piccole spaccature che  si possono immaginare politiche di trasformazione. Il potere, come spiega Judith Butler, non ci costruisce una volta per tutte come in una catena di montaggio, ci costruisce nel tempo e ripetutamente, ed è per questo che non siamo mai fatti allo stesso modo (non siamo “identici” l’uno all’altro). Ogni soggetto è sempre in un processo di produzione, ed è un soggetto incompiuto. Quest’idea per cui il potere deve ripetersi e incidere molteplici volte e in molteplici modi per “performare” il soggetto; quest’idea secondo cui il potere si espone al fallimento per non creare soggetti nella stessa maniera e, come conseguenza, produrre effetti contraddittori a se stesso, quest’idea si chiama “iterabilità” (Serra, 2018: 39). Il potere può quindi produrre effetti negativi su se stesso, e anche nel caso dell’eteronormatività (e del patriarcato) ciò è possibile. Se il patriarcato fosse un’entità totalmente indistruttibile e razionale in tutte le sue azioni, com’è possibile trovare soggetti che sfidano queste norme, dal collettivo LGTBI (gay, lesbiche, trans uomini e trans donne…) o, per esempio, uomini che possono mettere in discussione le norme prevalenti della mascolinità [1] (la cosiddetta “pluma”, per esempio)? E se vogliamo andare oltre, come è possibile che Zara, un’azienda guidata da un uomo e conosciuta da tutti per non trattare troppo bene i suoi lavoratori, decida di realizzare magliette con loghi chiaramente femministi? Ma soprattutto, che effetto può avere questo sullo stesso patriarcato?

Dopo aver analizzato il potere, le femministe non hanno altra scelta che giocare bene le loro carte. E una delle prime aree ad essere affrontate dal femminismo è il desiderio, poiché, come esseri incompiuti, desideriamo. Così come la politica deve essere consapevole che deve offrire al desiderio alternative per poter cambiare la società, il femminismo deve agire di conseguenza: non è possibile “trasformare” (o abolire) la mascolinità (o la femminilità più arcaica) se non le offriamo altre possibili alternative. Possiamo, per questo motivo, hackerare la mascolinità (Serra, 2018: 46). Né basta dire alle donne cosa fare o smettere di fare o desiderare per essere totalmente femministe, come spiega l’autrice. Tutte le politiche trasformative capaci di essere emancipatrici devono colmare quella mancanza che il potere lascia nei soggetti incompiuti, perché “tutte le identità si costruiscono sempre in avanti e mai all’indietro” (Serra, 2018: 44).

Ecco perché il femminismo non può prescindere dalle donne che desiderano pratiche sessuali differenti e che possono avere anche qualche accento patriarcale (si veda, ad esempio, il BDSM), che esercitano la prostituzione, che si truccano, che indossano minigonne e scollature, che decidono di essere casalinghe o che amano ballare il Reggaeton. Il femminismo deve raccogliere questi desideri e assicurarsi che, alla fine, queste donne possano sentirsi rappresentate all’interno del femminismo, e non sentirsi attaccate per non aver seguito norme femministe prestabilite. Questo significa essere egemoniche.

Venendo al punto: come dobbiamo pensare politicamente noi femministe per vincere? Dell’autrice desidero sottolineare la necessità di pensare il femminismo in chiave strategica: dobbiamo lasciare da parte gli essenzialismi o le regole morali per poter concepire quali sono i mezzi necessari per raggiungere un fine concreto che, nel caso delle femministe, deve essere l’«uguaglianza» o, più concretamente, il poter smettere di essere femministe (Serra, 2018: 65). Che significa esattamente questo? Che, in molte occasioni, se vogliamo diventare un movimento egemonico o vincente, dobbiamo essere consapevoli che molte volte è necessario pensare ad azioni che sono strategicamente efficaci, seducenti, e non radicarci in quelle modalità che ci rinchiuderebbero in identità costrittive, perché non siamo in possesso di un manuale o una Bibbia su come dovremmo fare femminismo. Nelle parole dell’autrice stessa:

Il femminismo deve essere in grado di utilizzare tutta la strumentazione e i mezzi a disposizione della politica, deve poter essere strategico, deve avere il coraggio di fare movimenti tattici, deve essere in grado di pensare alle sue pratiche o addirittura ai suoi soggetti politici in maniera strumentale. (Serra, 2018: 146).

Questo significa dimenticare i nostri obiettivi? Certamente no. Pensare solo in chiave strategica non ci porterebbe da nessuna parte e ci farebbe solo “brancolare nel buio”. Ma ciò su cui noi femministe dobbiamo essere chiare è che per raggiungere più persone è assolutamente indispensabile diventare un movimento inclusivo, che coinvolge tutte le donne: da quelle che amano ballare le canzoni di Maluma a quelle che decidono di truccarsi; le puttane, le sessualmente represse (‘malfolladas’, Despentes, 2018) o le casalinghe; le più intellettuali o coloro che amano leggere Cinquanta sfumature di grigio. Un femminismo di tutte e per tutte, e chiunque dice di tutte dice anche per tutti. Non si tratta solo di pensare in chiave strategica i mezzi, ma anche i soggetti. A volte avremo bisogno del coinvolgimento degli uomini nel femminismo per fare in modo che le nostre istanze siano efficaci e al tempo stesso ascoltate:

Pensiamo, ad esempio, ad un partito politico e al problema che gli spazi di potere e di visibilità vengono automaticamente presidiati dagli uomini. Dovrebbero essere le donne a criticare l’assenza di donne in una azione? […] Dovrebbero essere le femministe quelle che invitano i loro colleghi maschi a rifiutare la loro partecipazione ad azioni che non sono paritarie e quelle che denunciano il mancato rispetto degli accordi? In base alla mia esperienza di responsabile per l’uguaglianza in un partito come Podemos, risponderei chiaramente che non è così. Molte volte, proprio per preservare l’autorità delle donne, devono essere gli uomini nel rafforzare certe regole di comportamento, poiché in certe occasioni è molto più efficace che siano gli uomini, e soprattutto coloro che occupano posizioni di responsabilità, a difendere, trasmettere e spiegare il senso delle regole che gli uomini stessi devono rispettare per assicurare una presenza paritaria delle donne. (Serra, 2018: 78).

Né possiamo permetterci di rinunciare a due elementi chiave della politica: la seduzione e la coercizione. Come spiega l’autrice, usando le parole di Machiavelli, le femministe devono essere astute come la volpe e feroci come il leone. Dobbiamo sapere come imporre, forzare, ma senza diventare un movimento attraente e politicamente sexy tutto ciò non serve. Come ha giustamente affermato il filosofo italiano Antonio Gramsci, non si è più potenti quando si riesce a farsi rispettare con la coercizione, ma quando non si ha bisogno dell’uso della forza perché si ha il consenso di coloro sui quali si esercita il potere, cioè quando si ha l’egemonia. L’uso di questi due strumenti non sarà facile, dal momento che l’uso e anche l’accesso ad essi da parte delle donne è stigmatizzato, ma è nostro compito smantellare i pregiudizi che le circondano.

Molte di queste proposte molto probabilmente possono sembrare contraddittorie, e possono anche causare il rifiuto tra coloro che pensano che tutto questo alla fine implica solo diventare complici del potere e finire per dare legittimità agli strumenti del padrone… Ma come è stato precisato sopra, pensare a qualsiasi azione politica come a una fuga dal potere, un’oasi lontana dal potere, non è, nel lungo periodo, efficace. Non possiamo limitarci ad usare solo i nostri mezzi, strumenti e altoparlanti, perché in questo modo non saremo in grado di raggiungere quella parte della cittadinanza che, a causa del contesto o della situazione, non è in grado di accedere ai nostri spazi. Essere un movimento cool, sexy e vincente o, in altre parole, egemonico, significa poter non solo utilizzare gli strumenti del padrone, ma anche esporsi al dibattito, alla critica e dover continuamente ripensare le nostre azioni, strategie e principi moralizzanti… Significa osare essere leonesse e volpi implacabili e pensare ad un futuro in cui essere femminista non sarà più necessario. Può sembrare sconvolgente… ma nessuno ha detto che le cose sarebbero state facili.

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Per saperne di più:

  • Despentes, Virginie (2018): Teoría King Kong. Barcelona: Literatura Random House.
  • Foucault, Michel (2012): Un diálogo sobre el poder y otras conversaciones. Madrid: Alianza Editorial.
  • Maquiavelo, Nicolás (2010): El príncipe. Madrid: Alianza Editorial.
  • Serra, Clara (2018): Leonas y zorras. Estrategias políticas feministas. Madrid: Catarata.

[1] Questo è ciò che noi chiamiamo soggetti “abietti”, cioè soggetti che vanno oltre la normatività prevalente. Ad esempio, un uomo che decide di indossare il rosa. L’abiezione ci dà la possibilità di intendere il potere come qualcosa di incompleto, formato da elementi diversi che, articolati in modi diversi, possono rivoltarsi contro il proprio potere, in questo caso, contro il patriarcato (Serra, 2018: 45).

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fonte:

https://www.pikaramagazine.com/2018/07/politicas-transformadoras-con-capacidad-de-ganar-desde-una-perspectiva-feminista/

Traduzione a cura di Marcello Gisondi, Antonello Martinez e Alessandro Volpi

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