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5 maggio, la Francia ribelle in festa

11 Maggio 2018
Il 5 maggio 2018 la Francia ribelle fa la festa a Macron. Un anno fa Emmanuel Macron diventava presidente della Francia; nell’affanno di contrastare l’ascesa del populismo nazionalista del Front National di Marine Le Pen, visto il precipitare dei consensi del debole Hollande, il sistema puntava le sue carte sul suo giovane ministro dell’economia. Per evitare l’estremismo di destra – in realtà già un po’ in fase di riallineamento – il mainstream puntava tutte le sue carte su questa figura a suo modo rappresentativa di un andare oltre la distinzione destra-sinistra, ma sul versante liberale e oligarchico – infatti produceva dichiarazioni abbastanza confuse: nel 2014 si proclama “socialista”, nel 2015 “liberale”, nel 2016 come “non socialista”, a fine 2016 “uomo di sinistra” e “liberale” allo stesso tempo. Buona parte delle sinistre, naturalmente, si allineava.
Ma non tutte. Macron non ha avuto il sostegno della France Insoumise, vera novità delle elezioni che ha raggiunto oltre il 19% dei consensi, movimento guidato da Jean-Luc Mélenchon, che alla fine ha sopravanzato il Front National come punta di diamante della protesta contro i poteri dominanti (ed infatti il partito di Le Pen da allora è stato un susseguirsi di spaccature, fuoriusciti e innumerevoli altre grane, venendo pesantemente ridimensionato alle legislative: solo 8 seggi…).
La France Insoumise è nato come sbocco politico della Nuit Debout (marzo 2016), moto di contestazione della legge che sotto Hollande ha ulteriormente sottratto diritti ai lavoratori. E chi era uno degli ispiratori di essa? Macron. Eletto con solo il 24% al primo turno e passato il secondo grazie al ricatto (o lui o il fascismo), ha perso ben 24 punti percentuali di gradimento in soli 3 mesi. Un risultato impressionante.
Evidentemente i francesi non hanno troppo apprezzato la sua linea politica: una legge antiterrorismo giudicata liberticida, un allineamento a Trump coronato dal bombardamento della Siria, e una riforma fiscale che secondo l’OFCE (Osservatorio Francese per le Congiunture economiche) favorirà nel prossimo futuro il 2% dei redditi (quelli più alti) comportando a breve termine “la riduzione della fiscalità sul capitale, sui profitti d’impresa e l’innalzamento della fiscalità indiretta [quella più iniqua, l’IVA]”; e senza migliorare più di tanto i conti pubblici, (OFCE, nota del 15 gennaio 2018). In più una ulteriore riforma del lavoro volta a procedere sullo stesso sentiero di precarizzazione, con modalità giuridiche contestate sul piano di un corretto iter democratico.
E’ così che il presidente francese, dopo aver incassato una contestazione di piazza prima ancora di insediarsi, ha avuto già diverse manifestazioni contrarie, segnatamente il 19 aprile e il 1 maggio; in decine di città francesi sono scesi in strada migliaia di lavoratori delle poste, del pubblico impiego, delle ferrovie, studenti, insegnati, personale ospedaliero. Lotte sociali, sindacali, democratiche. Questo dovrebbe fare notizia, una interconnessione delle lotte sindacali e sociali, non il vandalismo dei casseurs, come giustamente Mélenchon rinfacciava al giornalista che intervistandolo voleva parlare solo di quello. In una affollata assemblea del 4 aprile a Lione con l’economista Frédric Lordon, il regista Francois Ruffin (deputato de La Franse Insoumise che col suo film Merci Patron ! aveva dato nel 2016 un discreto afflato alla protesta) e Gaël Quirante, il sindacalista licenziato dal ministro del Lavoro di Macron ( Muriel Pénicaud, ex risorse umane della Danone) hanno posto come centrale lo stesso tema: ricondurre tutti “i piccoli ruscelli di collera ad un impetuoso fiume di speranza”, con un percorso che culmina proprio il 5 maggio come festa di contestazione verso “Macron e il suo mondo”.
Pare di essere tornati al fermento di due anni fa ma con un’importante differenza: oggi c’è una rappresentanza che può fare più validamente da sponda alle lotte di piazza rispetto ai nanetti di sinistra radicale, se l’articolazione fra esse è funzionale ed efficace. L’oligarchia non può ancora cantare vittoria.

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