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Andalusia: pure in Spagna la Lega sfonda in Toscana

4 Dicembre 2018

In Andalusia sfonda l’estrema destra. Il partito VOX (catalizzatore e portatore di sentimenti franchisti, anti-femministi, anti-catalani, xenofobi, e via discorrendo) va in doppia cifra in termini percentuali ed ottiene 12 seggi nel parlamento andaluso. Insieme al Partito Popolare (centro-destra “mainstream” e uno dei due pilastri dell’ormai scomparso bipartitismo spagnolo) e a Ciudadanos (partito “nuovista”, una sorta di fusione di renzismo, retorica grillina “smart nation”/anti-casta ed anti-catalanismo con decisi ammiccamenti a destra), VOX avrebbe addirittura i numeri per fare da ago della bilancia e rovesciare il quarantennale dominio del PSOE (socialisti) nella regione più popolosa di Spagna. Adelante Andalusia, coalizione fra Podemos e comunisti, arretra ed ottiene 17 seggi, tre in meno rispetto alle precedenti elezioni. La sinistra andalusa (PSOE ed AA) è ora minoranza.

Come si è giunti a tutto questo? Innanzitutto, è necessario partire da qualche considerazione sul sistema socio-politico andaluso. L’Andalusia si può paragonare al nostro Mezzogiorno da un punto di vista economico, ed alla nostra Toscana da un punto di vista politico. Turismo, abusivismo edilizio, agricoltura, assistenzialismo, clientelismo. Ma anche identità spagnola, che convive perfettamente con un forte senso regionalista. L’Andalusia è, per usare una nota metafora del politologo inglese Paul Taggart, una sorta di heartland spagnolo: non corrisponde tanto alla “Spagna profonda” (normalmente identificata con le Castiglie), ma piuttosto alla “Spagna tradizionale”: corride, feste, cattolicesimo e povertà.  

I socialisti spagnoli si sono per decenni comportati come i democristiani nel Mezzogiorno italiano: clientelismo, disarticolazione del conflitto sociale (processo culminato negli anni Ottanta con la distruzione dei sindacati contadini), corruzione, autocompiacimento per il dominio politico decennale senza capacità di leggere l’erosione di qualsivoglia legittimità popolare a loro sostegno.

Il PSOE era ormai diventato una sorta di partito regionalista andaluso. La batosta di ieri non verrà presumibilmente male accolta dal leader nazionale, nonché primo ministro, Pedro Sánchez, il quale almeno ha il merito di aver intrapreso un diverso percorso, apparentemente lontano dal “susanismo” (da Susana Díaz, leader socialista in Andalusia e principale rivale interna di Sánchez).

In secondo luogo, bisogna capire perché la lunga erosione del consenso socialista non è stata sfruttata da Podemos e dai suoi alleati. L’impressione è che le forze alternative a sinistra siano state danneggiate dal cambio dell’agenda politica in Spagna. Qualche anno fa (parliamo degli anni successivi al 2011) in piazza ci stavano movimenti sociali, in primis gli Indignados, che parlavano di casta, corruzione, diritti sociali, democrazia. Ora il dibattito è stato deviato, occupato, dominato dalla questione catalana. Un “dibattito” (eufemismo) che ha polarizzato la Catalogna ed ha unito la Spagna (contro i catalani). Uno scontro campale che ha diviso le sinistre catalane e schiacciato le sinistre spagnole in una posizione sicuramente saggia, ma, evidentemente, elettoralmente perdente. I successi di VOX e di Ciudadanos sono strettamente legati, in buona parte, al revival spagnolista. I loro successi si basano sull’articolazione di un popolo “omogeneo” che odia migranti, catalani e femministe (le quali hanno saputo animare l’unico movimento di resistenza al riflusso). Non è un azzardo sostenere che proprio la posizione sul femminismo (ed in parte, forse, sulla questione dei migranti) divida (in modo piuttosto blando) l’elettorato di VOX da quello, relativamente più “modernista” e meno segnato da forme di cultural conservativism, di Ciudadanos.

Si è arrivati così alla giornata di ieri, che, di nuovo, ci dovrebbe insegnare due cose. La prima: se si perde il controllo dell’agenda politica, è un guaio. Se il conflitto principale da verticale (“popolo” contro “caste”) diventa orizzontale (Spagna contro Catalogna), si apre il fianco a narrazioni estremamente pericolose, perché regressive e perché verosimili (ancorché fallaci). VOX raccoglie il pieno di voti in municipi come El Ejido, una sorta di “Rosarno andalusa”, ove il problema del caporalato e dello sfruttamento dei migranti ha alimentato forme di protesta dei braccianti e reazioni violente a sfondo razzista. La buona notizia per la sinistra andalusa è che, dove governa (come a Cadice), si mantiene oltre il 30%: segno che occupare posti di potere e governare in modo trasparente e progressista è un buon metodo per non farsi travolgere e presidiare il consenso faticosamente costruito.

La seconda lezione: se ci si rinchiude in uno spazio di difesa identitaria, di nuovo, è un guaio. Ci si riferisce qui alla strategia di Adelante Andalusia, che ha passato la campagna elettorale a disputare al PSOE il significato della parola “socialismo”. Da un lato senza riuscirvi, dall’altro senza capire che in Spagna “socialismo” significa PSOE, e che PSOE in Andalusia significa “cricca”. Va detto che le condizioni per Adelante Andalusia erano estremamente difficili. La stessa polemica di Pablo Iglesias, intervenuto in campagna elettorale con un discorso di forte critica all’Unione Europea realmente esistente, in una regione inondata da aiuti del Fondo Sociale Europeo nel corso degli ultimi decenni, potrebbe aver avuto effetti contrastanti, ma ha comunque intercettato un sentimento ormai crescente e consolidato di sfiducia fra il popolo andaluso nei confronti delle diverse istituzioni regionali, nazionali e sovranazionali. Pure in Andalusia, però, l’euroscetticismo che ha davvero fatto irruzione è stato quello xenofobo: quello che vuole disapplicare Schengen per “fermare i migranti” (e per assicurarsi che gli esuli catalani rimangano a Bruxelles e dintorni). Il risultato, in sintesi, è quello che vediamo: pure in Spagna, la destra radicale si è messa in proprio, nonostante il tentativo di (ulteriore) “virata a destra” del Partito Popolare. Pure in Spagna, la Lega sfonda in Toscana.

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