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Federazione popolare e assemblea costituente: la strategia della France Insoumise. Intervista a Emanuel Bompard

3 Settembre 2019

Dal 22 al 25 agosto si è svolta a Tolosa la terza edizione dell’università d’estate (Les AMFIS) della France Insoumise alla quale hanno partecipato 2.827 militanti impegnati in più di 130 tra conferenze e laboratori. Questa intervista a Manuel Bompard è stata realizzata il 22 agosto in quell’occasione. Bompard, 33 anni, è Segretario nazionale del Parti de Gauche, una delle formazioni politiche che agiscono all’interno della FI (le altre sono, principalmente, Ensemble!, les Comunistes insoumis,  la Gauche républicaine et socialiste, la Coopérative pour une écologie sociale, le Parti ouvrier indépendant, …). È stato l’organizzatore della campagna per le presidenziali del 2017 di Jean-Luc Mélenchon, e coordinatore della France Insoumise dal 2017 al 2019. Manuel Bompard è attualmente un eurodeputato a capo della delegazione della FI al Parlamento europeo, composta da sei deputati.

Manuel Bompard terrà una conferenza alla scuola di formazione a Frattocchie – “Il ritorno della politica” – alle ore 21 di sabato 7 settembre prossimo.

D. Dopo le elezioni europee il governo francese e Macron stesso sembrano volere proseguire nelle loro politiche liberiste con, ad esempio, una contro-riforma delle pensioni. Perché niente sembra cambiare in Francia?

B. Senza dubbio perché per il momento l’opposizione non è riuscita a fare indietreggiare il governo. C’è stato un movimento molto importante l’anno scorso nel nostro paese, è il movimento dei gilets jaunes, e penso che abbia detto molte cose. Ha detto che la rabbia era molto forte in Francia, di fronte alla situazione del paese e di fronte alla politica del governo, e allo stesso tempo che le forme tradizionali di opposizione, sia politiche che sindacali, non sembravano in grado di consentire l’espressione di questa rabbia. Il governo ha un’agenda molto chiara. Un’agenda neo-liberista che mira gradualmente ad attaccare l’intero sistema e il modello sociale francese. Dovremmo trovare un tema sul quale ostacolarlo. Ci sono argomenti importanti che incombono a settembre. In particolare, esiste una contro-riforma delle pensioni molto ipocrita perché il governo e il Presidente della Repubblica non affermano che si tratta di aumentare l’età legale di partenza per la pensione, età che è di circa 62 anni oggi, ma dicono di volere introdurre quella che chiamano un’età di riferimento, d’equilibrio, che all’inizio sarà di 64 anni e che in realtà sostituirebbe l’età legale della pensione. La questione delle pensioni è una questione simbolicamente molto importante in Francia, una questione che ha sempre dato origine a importanti movimenti sociali. Quindi speriamo, come Francia Insoumise (FI) di contribuire al fatto che ci sia una forte reazione popolare che faccia retrocedere il governo. È vero che per il momento non siamo riusciti a ostacolarlo, tuttavia si è indebolito. Se si osserva il suo indice di popolarità, è tra i più deboli della Quinta Repubblica. Ma beneficia di un sistema istituzionale che è appunto quello della Quinta Repubblica in cui un Presidente, anche se sostenuto solo da una minoranza della popolazione, può continuare a governare. È un grave problema democratico che denunciamo con forza.

D. Il movimento dei Gilets Jaunes è un pò scomparso dalla scena mediatica. Quale è il vostro bilancio di questo movimento? Che avvenire ha?

B. È un movimento che lascerà un segno nella storia della Francia. Non è qualcosa di congiunturale o qualcosa che può essere spazzato via così, con un man rovescio. Questo movimento ha messo in rilievo la grande sfiducia di gran parte della popolazione in Francia nei confronti di qualsiasi rappresentanza politica. Ha anche affermato che le forme tradizionali di espressione della rabbia sociale non sono più appropriate e che i canali sindacali e politici, i quali in democrazia avevano l’abitudine di arbitrare disaccordi e conflitti, hanno perso la legittimità di farlo, che non vi era più alcuna forma di intermediazione e che gli individui decidevano di mettersi in movimento con nuove forme, non organizzate o almeno organizzate diversamente sulla base dei social network, inclusa un’estetica del movimento sociale che non ha nulla a che fare con le classiche manifestazioni del tradizionale movimento sindacale. Credo che questo movimento abbia detto molto alle forze politiche rivoluzionarie come le nostre. Si commetterebbe un grave errore se si considerasse che è stato qualcosa di congiunturale e che il vecchio mondo tradizionale tornerà completamente al suo posto. È vero, il movimento è diminuito in termini di partecipazione popolare ed anche in termini di copertura mediatica; ma, attualmente, i motivi che l’hanno causato non sono scomparsi. Il paese è in una situazione di tensione sorda, di rabbia fredda, ed alla minima scintilla il movimento può ricominciare. È molto difficile dire quale potrà essere questa scintilla. Nessuno aveva previsto l’anno scorso che sarebbe stato la tassa sui carburanti a innescare tutto ciò. Ma c’è una rabbia molto forte ed è interessante rilevare come un movimento partito da una rivendicazione economica molto precisa – il rifiuto di pagare di più per il carburante – non essendo stato ascoltato, è arrivato ad interrogarsi sull’intero sistema sociale. Il movimento dei GJ ha iniziato con il rifiuto di questa tassa, ma ha poi rapidamente affrontato questioni più globali: la lotta contro la frode fiscale, l’evasione fiscale, la condivisione della ricchezza e ha persino discusso delle fondamenta della vita democratica. Se viviamo così male, è perché la nostra voce non viene ascoltata, la nostra parola non viene presa in considerazione ed è una piccola minoranza che governa il paese a scapito del maggior numero. Credo che sia molto importante che una forza politica come la nostra abbia difeso l’idea del rinnovamento democratico del paese, della Sesta Repubblica e dell’Assemblea costituente come priorità.

D. Le elezioni europee hanno fotografato un declino relativo delle forze politiche con le quali siete collegati (come, per esempio, Podemos) ed anche della FI. Quale è la vostra analisi di questo risultato elettorale negativo?

B. Si tratta effettivamente di un risultato negativo e si deve avere la lucidità di guardarlo in faccia. In tutta Europa, le forze dello spazio politico analogo a quello della FI hanno subito questa battuta d’arresto. Penso che ci siano elementi congiunturali e difficoltà serie derivanti dal fatto che le elezioni europee sono elezioni complesse per la nostra famiglia politica. Perché il nostro discorso è necessariamente un discorso complicato: diciamo che l’Unione europea non è soddisfacente, che è necessario rompere radicalmente con l’ordine dell’UE come è oggi ed allo stesso tempo partecipiamo alle elezioni per eleggere rappresentanti nelle istituzioni che noi denunciamo come antidemocratiche. E quindi, necessariamente, parte della popolazione fa fatica a percepire che il voto alla FI per le elezioni europee è un voto che cambierà davvero la loro vita. Penso sia stata una difficoltà che non siamo riusciti ad affrontare. Le elezioni europee in Francia si sono tradotte in un voto sugli slogan, sui messaggi che si volevano inviare alla società, piuttosto che in un voto su progetti politici alternativi l’uno rispetto all’altro. E in questo gioco, il nostro spazio politico è stato diviso tra l’astensione delle persone che hanno pensato che votare alle elezioni europee fosse inutile e coloro che hanno preferito inviare un messaggio di allarme sulla questione del clima. E che quindi hanno utilizzato il voto che sembrava il modo più semplice per farlo, cioè sbarrare il simbolo sulla scheda elettorale riferito all’ecologia, il simbolo dei Verdi. Ed è vero che questa difficoltà non siamo riusciti ad affrontarla. Penso che le ragioni che hanno fatto emergere la FI, Podemos e le forze politiche con cui lavoriamo nell’UE oggi non siano scomparse, che la rabbia sociale sia sempre lì, l’imperativo ecologico sia ancora lì, la crisi politica, la sensazione di sfiducia siano ancora lì, e se torniamo al lavoro e proviamo a correggere i difetti di ciò che abbiamo fatto nel periodo precedente, credo si possano costruire giorni migliori.

D. In Francia il risultato delle elezioni europee è stato deludente per la sinistra e per la FI. Questo ha determinato un dibattito acceso al vostro interno. A che punto è arrivata la vostra discussione?

B. C’è una discussione ed è sempre normale che ci sia al termine di una fase elettorale, soprattutto quando il risultato non è all’altezza delle aspettative. Dobbiamo cercare di capire il perché. Il dibattito non è affatto come è stato descritto dall’apparato mediatico dominante che cerca di fare apparire come isterica qualsiasi forma di confronto al nostro interno. Ogni discussione diventa una crisi, uno scontro, una frattura. La maggior parte della FI, credo, sia in una coerenza strategica estremamente forte. Questa coerenza strategica è abbastanza semplice. È il rifiuto di credere che per costruire un’alternativa occorra usare i vecchi schemi, i messaggi tradizionali, l’idea che, in fin dei conti, basterebbe riproporre delle alleanze all’interno di uno spazio politico che si definirebbe “sinistra” ed un’unione che assemblerebbe le diverse sigle. Questo spazio politico dell’unità delle “sinistre” è oggi molto ridotto all’interno della popolazione. Una gran parte della popolazione non si posiziona su una sequenza politica sinistra / destra, anche se i valori, le idee che possono risuonare nelle sue orecchie sono piuttosto idee da classificare a sinistra. Ma la gente non se le rappresenta in questa maniera, e cerca piuttosto nella politica un modo concreto di risolvere i problemi della vita quotidiana. Un diverso modo di proporre un’alternativa che il movimento dei GJ – dal mio punto di vista – attesta esistere. Questa è sempre stata la nostra strategia politica fin dalla creazione della FI, dalle elezioni presidenziali del 2017. Dobbiamo partire dalle questioni concrete e dare ad esse risposte politiche piuttosto che elencare etichette. E’ una strategia sulla quale si è certo discusso all’interno della FI, ma tale posizione è ampiamente condivisa. Chi, all’interno del nostro movimento, ha un’opinione diversa – a mio avviso – commette un errore.  L’errore di considerare come nostra l’impostazione del nostro avversario. Il quale ci ha descritti per un anno intero come violenti, irresponsabili, estremisti. E questa descrizione, amplificata dai media, ha dato i suoi frutti, ci ha indeboliti. Ma il posizionamento estremistico non era il nostro, era l’immagine di noi che ha voluto dare il nostro avversario. In ogni caso, sostengo l’idea che la FI non sta all’estremità dello spettro politico. Essa incarna, piuttosto, una forma di centralità popolare basata sui problemi affrontati dalle persone nel quotidiano. Questo è il motivo per cui, ad esempio, la tradizionale lateralizzazione sinistra / destra è una lateralizzazione in cui noi non ci riconosciamo, perché necessariamente ci confina all’estremità dello spettro politico. Quindi, su questi argomenti non pretendiamo di aver fatto tutto bene, non facciamo finta di avere ragione su tutto. Il dibattito è sempre utile se ci consente di andare avanti. Questo dibattito è ancora in svolgimento, e quindi spero che ci sarà anche in queste Amfis, durante l’università d’estate della FI.

D. In seguito a questo dibattito avete lanciato, o per meglio dire avete ripreso, lo slogan della “Federazione popolare”. Intendete coinvolgere anche le altre organizzazioni politiche ed in particolare i verdi? Questi verdi francesi sembrano avere due anime contradditorie…

B. Esistono in Francia, come spesso accade, mode mediatiche, le quali ora suggeriscono, dopo le elezioni europee, che rimane solo l’Europa Ecologie Les Verts (EELV) per costruire un’alternativa. Bene, penso che dobbiamo essere ragionevoli. EELV ha ottenuto un buon risultato alle elezioni europee, non è la prima volta d’altronde, e ha avuto il 13% dei voti. Non ha raggiunto il 30 o il 40%. In secondo luogo, lo ha fatto in un contesto particolare. Con un piccolo numero di elettori che hanno partecipato alle elezioni e con sondaggi di opinione che dicono che in realtà circa un terzo degli elettori ha deciso come votare il giorno stesso delle votazioni. Non credo sia qualcosa di strutturale. La contraddizione che attraversa i Verdi francesi – ma avviene con tutti i partiti verdi dell’UE – è quella di sapere se è possibile affrontare l’emergenza climatica senza mettere in discussione il sistema economico capitalista nel suo insieme. Su questo argomento ci sono posizioni diverse in EELV. Per quanto mi riguarda trovo che le parole di David Cormand, segretario nazionale di EELV, siano molto più coerenti, molto più serie dei propositi di Yannick Jadot, il loro capolista alle elezioni europee. Cormand si interroga se in ultima analisi si può accogliere una forma di capitalismo verde o se si debba ammettere il fatto che la ricerca del profitto a tutti i costi, la liberalizzazione di tutti i settori della società, compresa l’acqua e l’aria che respiriamo, non siano compatibili con la presa in considerazione dell’urgenza ecologica. Non credo possiamo fare dell’ecologia come il Signor Macron che due giorni dopo essersi espresso contro il cambiamento climatico ratifica un accordo di libero scambio con il Canada. Se si desidera avere una posizione ecologica coerente, si deve porre fine al libero scambio generalizzato ed avere forme di protezionismo verde. Ad esempio, dobbiamo presumere che una parte significativa dell’economia debba essere gestita pubblicamente o attraverso forme di proprietà collettiva, quando riguarda beni pubblici fondamentali come l’acqua e l’energia. E quando Macron decide di privatizzare le dighe idroelettriche, fa il contrario. Questa è una questione di fondo: se EELV assumerà questa posizione e sarà coerente, sarà un bene per tutti. 

D. Cosa intendete per “Federazione popolare”?

B. L’espressione “Federazione popolare” è stata introdotta da Jean-Luc Mélenchon, con l’idea di andare oltre ciò che potrebbe sembrare una contraddizione tra questa strategia – che abbiamo chiamato “federare il popolo” – e quelli che ci dicevano: “No, dobbiamo unire la sinistra”. L’idea della federazione popolare non si oppone necessariamente alla convergenza delle forze politiche di sinistra, ma pone una condizione: che queste forze politiche siano al servizio di dinamiche popolari più ampie. Abbiamo in Francia un anno di elezioni comunali che permetteranno di illustrare cosa significhi il concetto di “federazione popolare”: forze politiche che sostengono le dinamiche popolari fondate sull’auto-organizzazione dei cittadini nella loro città, nel loro comune. L’idea è di promuovere, creare, favorire al massimo delle liste civiche; liste basate su elementi di auto-organizzazione che esistono nella società. Le conoscete bene in Italia, ad esempio a Napoli. Attorno a queste idee, riteniamo di potere riuscire a rispondere alla grande domanda del momento: come il cittadino, il popolo, possa riprendersi la propria sovranità, il suo potere di agire. Non andiamo tra la gente dicendo: “siamo forze politiche diverse, ma siamo d’accordo su un programma e su una lista, votate per noi perché siamo in gamba”. Le persone non ci credono più. D’altra parte, se siamo in grado di sostenere le iniziative popolari di auto-organizzazione e alla fine di tradurle in liste elettorali in grado di competere per il potere, allora saremmo in grado di proporre un’alternativa: quella abbiamo chiamato la “federazione popolare”.

D. Il sistema istituzionale francese ruota intorno alla figura del Presidente della Repubblica. Nel 2022, ci sarà di nuovo l’elezione del Presidente. A quale percorso pensate per definire un candidato competitivo al fine di superare la dicotomia Macron/Le Pen?

B. Bene, il 2022 è ancora molto lontano in Francia. Quindi, prima di porre la domanda se abbiamo definito un percorso per scegliere un candidato, dobbiamo chiederci quali saranno i principali problemi delle elezioni presidenziali del 2022. La questione del rinnovamento istituzionale del paese è la questione centrale, un tema da non intendere semplicemente come materia puramente legislativa ed istituzionale: se dovremmo avere 500 o 800 deputati, oppure una o due Camere. La domanda che viene posta, e che ha espresso a modo suo il movimento dei GJ, parte dal fatto che il popolo francese è oggi in una fase di disintegrazione, quella che Jacques Généreux, membro della FI, ha definito la “di-société” cioè, una società atomizzata. E dalla costatazione che tutte le forme di resistenza collettiva che creano del comune, si sono indebolite. Da quel momento, il nostro compito è quello della ricostruzione del popolo francese attraverso la sua sovranità. La parola d’ordine dell'”Assemblea costituente” ne rappresenta la sintesi.  Quando i cittadini non credono più alle regole del gioco, si tratta di ridefinirle insieme. La proposta dell’Assemblea costituente sarà, a mio avviso, la questione centrale delle elezioni presidenziali del 2022. Tale richiesta non è fine a sé stessa, è un mezzo per rispondere all’emergenza sociale. La Francia è detentrice del record europeo di dividendi per gli azionisti delle grandi aziende ed allo stesso tempo è un paese con 9 milioni di poveri, una situazione intollerabile ed inaccettabile. Naturalmente, la transizione ecologica è così centrale che nel 2022 nessuno sarà in grado di evitare non solo di parlarne, ma di proporre risposte concrete. Ma credo che le questioni della sovranità, della democrazia, dell’Assemblea costituente, saranno centrali. La FI si prepara ad affrontarle. Questo è il motivo per cui tutte le elezioni, tutte le scadenze che verranno da qui al 2022 saranno per noi delle tappe in tale direzione. Da questo punto di vista, l’idea di promuovere dei percorsi civici per le elezioni comunali è un modo di affrontare la problematica della sovranità popolare. Per quanto riguarda il candidato della FI, francamente adesso non ci pensiamo, perché è troppo presto.

D. In Italia, il cammino delle piccole organizzazioni che possiamo definire come “populiste di sinistra” conosce grandi difficoltà, anche se ultimamente la crisi di governo e del Movimento 5 stelle può forse aprire uno spazio politico per queste organizzazioni. Sul piano europeo quali legami e quali rapporti intendete sviluppare nei prossimi mesi?

B. L’anno scorso abbiamo istituito il movimento europeo: “E ora il popolo!”. Adesso abbiamo una delegazione al Parlamento europeo che fa parte del gruppo GUE, con la possibilità che Manon Aubry, membro della FI, sia co-presidente del gruppo insieme a Martin Schiderwan della Linke. Credo che questo gruppo debba essere più visibile e più leggibile negli orientamenti politici.

D. Nei mesi scorsi c’è stata una grande discussione sulla presenza del partito di Syriza in questo gruppo. È un dibattito superato, è un dibattito rimasto in stand-by?

B. All’indomani delle elezioni europee, le forze politiche che rappresentiamo si sono ridotte a 40 deputati in un parlamento che ne raggruppa 800. Ovviamente abbiamo avuto divergenze con Syriza quando era al governo e non le abbiamo mai nascoste. Ma c’è anche una nuova situazione politica in Grecia, Syriza non è più al potere. L’esperienza di Syriza al potere dovrebbe interrogarci collettivamente su come un governo alternativo non dovrebbe rimanere isolato di fronte ai poteri finanziari ed alle istituzioni europee che cercano di prevenire e reprimere tutte le esperienze alternative. Ci sono paesi che purtroppo non sono rappresentati in questo gruppo della GUE, penso in particolare all’Italia. Sarebbe molto difficile e molto sgradito dare consigli sulla situazione politica italiana. L’Italia è sempre stata per noi un Paese da cui trarre ispirazione, proprio perché abbiamo visto fino a che punto può condurre la difficoltà di far emergere una forza politica alternativa alla socialdemocrazia. E’ per questo che con Jean-Luc Mélenchon abbiamo formato prima il Parti de Gauche, poi il Front de Gauche, ed infine la France Insoumise, con l’obiettivo di non finire in quella che all’epoca chiamavamo una situazione di tipo italiano. In Italia molte cose si muovono. Ci sono iniziative di riflessione, iniziative di base, dal territorio, come “Potere al popolo”. Ci sono rotture con la socialdemocrazia. C’è persino il Movimento 5 stelle che, senza dubbio, è riuscito a rappresentare alcune aspirazioni popolari ma con il quale abbiamo divergenze molto forti, in particolare, per la scelta di governare con l’estrema destra. Spero che la nuova situazione politica italiana possa favorire l’emergere di un polo importante con cui potremmo lavorare nei prossimi mesi. È anche per questo che sono molto felice di venire in Italia a settembre per cercare di discutere e scambiare opinioni. Nella discussione, nella riflessione, nella condivisione delle esperienze nazionali, a volte, si possono trovare fonti di ispirazione. Così, è con questo approccio che speriamo di aiutare i nostri amici e il popolo italiano a proporre un’alternativa all’estrema destra e alla socialdemocrazia.

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