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L’oscura trasparenza dell’Unione europea

21 Marzo 2019

Alcuni esempi di conclamata antidemocrazia: dal “Selmayrgate”, alle ingerenze della BCE in Lettonia, al divieto di accesso ai documenti che nascondono le ragioni dello stop ai finanziamenti greci.

Una recente inchiesta di Jean Quatremer pubblicata sul quotidiano Libération (15 marzo 2019) e ripresa dal Corsera e dal Fatto Quotidiano (16 marzo 2019), squarcia il velo d’ipocrisia con cui l’UE è solita ricoprire la sua proverbiale retorica sulla trasparenza e la good governance. Secondo quanto riportato, un’alta funzionaria del Servizio giuridico della Commissione europea, la bolognese Laura Pignataro, sarebbe stata coinvolta nella torbida vicenda riguardante l’irregolare nomina a Segretario Generale di Martin Selmayr, già capo gabinetto del Presidente Jean-Claude Juncker. Il Segretariato generale è una delle direzioni più importanti della Commissione e Selmayr, tedesco, uomo ombra di Juncker e vero dominus della Commissione uscente, ha cercato in tutti i modi di consolidare la sua posizione di potere, assicurandosi una stabile posizione nel braccio amministrativo dell’istituzione brussellese.

Ad infittire il mistero il suicidio della funzionaria, il 17 dicembre 2018, avvenuto in modo improvviso e inaspettato per colleghi e amici che ricordavano Laura come una persona solare e piena di vita.  Si sarebbe gettata improvvisamente dal settimo piano di un palazzo, dopo aver messo al sicuro la figlia quattordicenne. La Pignataro era un’esperta di function publique e seguiva con attenzione gli aspetti giuridici di molti i casi d‘irregolarità nell’avanzamento delle carriere e i contenziosi che riguardavano i funzionari delle istituzioni, dal mobbing ai numerosi casi di harassment, e di violenza che purtroppo accadono in tutte le istituzioni nel mondo, nazionali e sovranazionali. La Commissione non fa eccezione e le irregolarità interne sono all’ordine del giorno.  Come nel romanzo di Robert Menasse, La Capitale, in cui la “brussels bubble” dell’eurocrazia diventa la scena di un thriller macchiato di sangue, la realtà sembrerebbe superare la fantasia e la nomina di Selmayr a Segretario generale diventa un giallo che fa discutere non solo gli addetti ai lavori. Stando a quanto riferisce Libération, la Pignataro, responsabile per la funzione pubblica, giocava un ruolo importante nella vicenda, ma è stata intrappolata in un sistema basato sulla menzogna e la minaccia. L’art. 11bis dello statuto dei funzionari dispone che “nell’esercizio delle sue funzioni, il funzionario non debba trattare alcun affare che lo riguardi in cui ha un interesse personale”. Tale articolo non sarebbe stato rispettato nella riunione del 24 marzo 2018, durante la quale la Commissione è stata chiamata a fornire una risposta ai chiarimenti richiesti dal Parlamento europeo riguardo alla sospetta rapidità della nomina di Selmayr e alla mancanza dell’apertura di un bando trasparente per la selezione a seguito dell’improvviso ritiro di Alexander Italianer, precedente Segretario Generale. Alla riunione dei funzionari chiamati a preparare le risposte è presente tuttavia il diretto interessato, Selmayr e a togliersi d’impiccio, anziché il soggetto coinvolto, è il capo del Servizio giuridico, Luis Romero. La Pignataro si trova pertanto da sola, intrappolata in una situazione di abuso di potere e violazione delle regole interne. Il Parlamento chiede una seconda rivalutazione, alla quale la Commissione risponde che tutto è regolare. A questo segue poi un’inchiesta condotta dal Mediatore europeo (l’organo che si occupa dei casi di mala amministrazione interna nelle istituzioni), guidato dall’irlandese Emily O’Reylli, che chiede l’accesso al server della Commissione, poi rifiutato, e a cui segue allora la richiesta dell’invio di tutte le mail che riguardano la nomina di Selmayr. La Pignataro, secondo quanto riferito, consegna il dossier al Mediatore O’Reylli. Selmayr si sente, quindi, tradito da chi riteneva essere il proprio scudo giuridico. Il Mediatore europeo giunge alla conclusione che ci sia stata una manipolazione da parte della Commissione e chiede delucidazioni. La Pignataro, quindi, a una seconda richiesta di mentire non accetta più di essere una pedina nelle mani di Selmayr. Il 12 dicembre 2018 afferma, secondo quanto riferito a un collega e riportato da Libération, “che la sua carriera è finita e che non si può immaginare ciò che è stata costretta a fare”. Quattro giorni dopo si toglie la vita.

Un tragico epilogo per una vicenda dai contorni ancora oscuri che crediamo sia opportuno portare all’attenzione dell’opinione pubblica e su cui si deve far luce. Resta il fatto che il “Selmayrgate” non depone certo a favore di un’Europa che fa della trasparenza, della “better regulation” e della good governance le proprie linee di condotta. La Commissione europea, sempre pronta a puntare il dito contro la corruzione degli stati nazionali e a fissare benchmark e standard per un corretto rule of law, quando da arbitro è chiamata al controllo è la prima istituzione a non rispettare le più basilari regole dello stato di diritto.

Forse, tutto sommato, i “corrotti” sistemi democratico-liberali, che dovrebbero adeguare le proprie legislazioni alle moderne e cosmopolite direttive comunitarie, farebbero meglio a tenersi ben stretta l’ormai residuale sovranità democratica, visto che i meccanismi di governance e la sotterranea attività giurisprudenziale della Corte di Giustizia stanno lavorando nella direzione opposta. Una sentenza della Corte (C-202/18 e C-238/18 26 febbraio 2019), per citare un recente esempio, ha stabilito l’annullamento della decisione di sospendere dall’incarico il governatore della Banca centrale della Lettonia (stato membro della zona euro). La Corte in pratica vieta che uno Stato possa imporre il divieto, anche temporaneo, al proprio governatore della Banca centrale di esercitare le proprie funzioni. Nel caso di specie, in Lettonia il governatore Rimsevicis, sottoposto ad indagini preliminari vertenti su fatti di corruzione e di traffico di influenze, era stato sospeso dall’incarico. La Corte europea si è pronunciata contro la sospensione, decidendo che tale competenza e quindi l’esame della legittimità del provvedimento spetti alla Corte stessa. Il governatore è, secondo la Corte, parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali e quindi figura indipendente dallo Stato, nel caso di specie dalla Lettonia. Il governatore lettone, pertanto, è una figura assimilabile al sistema europeo.  Si tratta di una sentenza d’importanza storica, che per la prima volta sancisce non solo l’indipendenza della Banca centrale nazionale dal proprio governo, ma anche il principio che la figura del governatore ricadrebbe in qualche modo sotto il diretto controllo dell’UE e non più dello Stato. I governatori, come i prefetti con cui in epoca romana l’Urbe amministrava le colonie, diventano le guardie pretoriane del sistema euro. D’altronde l’appellativo postmoderno di “governance europea” non è che un modo per nascondere la vera natura imperiale dell’UE. Possiamo appiccicare tutti i “neo” e i “post” del caso, ma certamente questo non rende la super struttura parastatale europea più accettabile e democratica, tantomeno democratizzabile per via interna. La tanto sbandierata “trasparenza” non si applica nemmeno quando Yanis Varoufakis e Fabio De Masi chiedono di avere accesso alla documentazione della BCE che nel 2015 impose lo stop ai finanziamenti alle banche greche. Tali documenti furono decisivi per la resa della Grecia e l’accettazione del memorandum imposto dalla troika. La Corte di giustizia, esaminato il caso, si è recentemente pronunciata affermando la piena legittimità dell’azione della BCE, la quale avrebbe valutato in modo appropriato gli effetti ipotetici che la pubblicazione dei documenti avrebbe potuto avere sull’opinione pubblica. La salvaguardia del “libero pensiero” della BCE è più importante del dover rendere conto ai cittadini di quanto deciso riguardo a politiche “lacrime e sangue” e di macelleria sociale. Politiche che lo stesso FMI ha riconosciuto come sproporzionate ed eccessive. Immolare la democrazia sull’altare dei sacri dogmi per l’indipendenza della BCE e la stabilità dei prezzi è l’orrendo rituale cui si sottopongono i popoli europei da decenni. Ora è venuto il tempo del “whatever it takes” per salvare la sovranità democratica e nazionale.

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