Cultura | Politica

Analfabeti Funzionali vs Rin(coglioni)ti. Le nuove ed avanzate frontiere del dibattito politico in Italia

9 Febbraio 2018

Alessandro Di Battista è uno dei massimi esponenti del Movimento Cinque Stelle. Quel partito politico che sta cercando di scrollarsi di dosso quell’etichetta di (sia mai!) “antisistema”. Quel partito il cui “leader politico”, Luigi Di Maio, ha passato l’intera campagna elettorale a parlare con i rappresentanti degli investitori internazionali e del mondo imprenditoriale italiano, saltando invece a pié pari il confronto con i rappresentanti dei lavoratori, considerati (a differenza dei primi, noti potenziali rivoluzionari) alla stregua di “servi del sistema”.

Alessandro Di Battista, fedele alla linea di partito, è però andato a parlare direttamente agli operai della Embraco, l’azienda acquistata dalla Whirlpool per poi venire chiusa dopo due anni, lasciando sulla strada oltre 500 lavoratori. Meritevole, da parte sua, cercare un confronto diretto con le vittime della crisi e delle politiche governative, purché non si tratti di mero spot elettorale per il proprio partito da parte di un esponente neppure candidato alle prossime elezioni (ma non abbiamo motivo di dubitare della buona fede del Dibba). L’Alessandrone nazionale ha concluso il suo comizio avvertendo gli operai che non sarà facile sistemare le cose, in Italia, giacché, presagendo una sconfitta del Movimento Cinque Stelle alle elezioni, tocca notare che “gli Italiani sono rincoglioniti”.

Frase icastica, che riporta alla mente le famose parole del Silvio nazionale, quando una decina di anni fa si augurava che gli italiani non fossero “così coglioni da votare a sinistra”. Frase che ben si sposa con il tradizionale discorso avanzato dal Movimento Cinque Stelle, vòlto alla “responsabilizzazione del cittadino”, il quale, in fin dei conti, dovrebbe prendersela con se stesso e con i propri simili se “le cose non cambiano”. Va da sé che l’unico modo per “cambiare davvero le cose” sia concedere il voto al MoVimento, l’unico che dà la voce a tutti, l’unico che ha un programma “creato e votato dagli iscritti”. [Nota: “creato” in realtà significa “copiaincollato da Wikipedia da qualche non meglio precisato funzionario della Casaleggio Associati o da qualche “responsabile del programma”; “votato” in realtà significa “ratificato”. Fonte: Dizionario Casaleggese-Italiano; Garzanti].

“Rincoglionito”, però, è ben diverso da “coglione”. “Coglione” si addice a chi compie un atto lesivo dei propri stessi interessi. Nella narrazione di Berlusconi, se ti lamenti delle tasse e poi voti per chi le vuole alzare, sei evidentemente preda di tafazzismo. Te le cerchi, diamine. Berlusconi parla al portafoglio, è concreto, considera la politica come afferente al piano del razionale, del rapporto costo-beneficio. Del resto, non avesse dovuto salvare le aziende, col piffero che sarebbe “sceso in campo”.

“Rincoglionito” è chi è in evidente stato confusionale. La critica pentastellata un tempo si riferiva al mondo della carta stampata e della comunicazione televisiva, fatte apposta per “rincoglionire”. In questo caso, però, il Dibba non ritiene che gli italiani siano “rincoglioniti da”. No. Sono “rincoglioniti”, sic et simpliciter. Cioè, il Movimento Cinque Stelle non si interroga a fondo sulle cause di questo generale “rincoglionimento”. Semplicemente prende nota. Un tempo il M5S avanzava una retorica decisamente più moralistica, finanche anti-materialista, a difesa di un qualche interesse generale: chi votava PD-elle e PD-meno-elle lo faceva per un tornaconto personale, perché magari era un evasore (e allora Berlusconi) o un impiegato pubblico nullafacente o un “baby-pensionato col contributivo” (e allora piddì). Oggi, invece, davvero non ci si può spiegare come uno faccia a difendere la vecchia politica. O meglio, uno non si può davvero spiegare perché il M5S è dato al 28% e non al 95% dai sondaggi.

Questa differente ma speculare critica delle scelte di voto degli italiani, regolarmente insultati dalla loro classe politica in cerca di voti (una specie di adattamento del famoso Teorema di Marco Ferradini), si può dunque riassumere, in modo un pò meno volgare, nel seguente modo: “Ma sei masochista?” (Centrodestra) vs “Ma sei scemo?” (M5S). Un elettore potrebbe ora chiedersi: ma ci sarà una forza politica che anziché insultarmi mi cerca di convincere? Forse la sinistra, da sempre vicina al popolo lavoratore? Ovviamente, la risposta è un rotondo “no”. Perché a sinistra, la benpensante sinistra italica, in tutte le sue salse e gradazioni, ha escogitato un nuovo modo di rivolgersi agli elettori, figlio della pretesa “superiorità morale” e dei lunghi decenni di antiberlusconismo debilitante. La sinistra si rivolge agli italiani riottosi con la domanda: “Ma sei ignorante?”. E, a tratti: “Ma sei povero?”.

Eh sì, può suonare strano. Ma è davvero così. Sulle reti sociali pullulano pagine in cui si denunciano i cosiddetti “analfabeti funzionali”, quelle persone (che effettivamente esistono: trattasi di termine più o meno accettato nelle scienze psicologiche e sociali) le quali non hanno le necessarie risorse culturali per far fronte a testi complessi e non riescono a distinguere le veridicità delle fonti informative cui attingono. Ora, lasciando perdere l’enorme questione circa quali sarebbero le fonti “affidabili” e quali quelle “inaffidabili”, focalizziamoci sul ragionamento del “popolo della sinistra”. In pratica, ignorando le ultranote correlazioni fra livello di istruzione e status socioeconomico – che, unite alla scarsissima mobilità sociale ascendente offerta dal Sistema-Italia, ci dicono che l’essere scarsamente istruiti è soprattutto conseguenza (e successivamente causa) di una difficile situazione economica – il “popolo della sinistra” identifica le ragioni del proprio calo elettorale nell'”ignoranza dilagante”. Gli italiani sarebbero diventati una sorta di minus habentes che non capiscono la scientificità della proposta della sinistra, la quale possiede la vera soluzione per i problemi del Paese, in particolare il debito pubblico (autentico spauracchio della casalinga di Voghera). La colpa automaticamente ricade su quegli italiani che non hanno studiato, poi magari finiscono a fare un lavoro odioso, precario e ripetitivo, si stressano, si incattiviscono, diventano ancora più stupidi e finiscono per votare quelle forze politiche che anziché garantire il conseguimento dell’avanzo primario del bilancio statale finiscono per regalare soldi (pfui! Disse il Pariolino) alla gente. Questa profonda analisi, ormai radicatasi fra molti elettori, è del resto alimentata dai dirigenti del centrosinistra. Ricordiamo il celeberrimo tweet di Laura Puppato all’indomani della sonora batosta rappresentata dal referendum sul disegno di legge Renzi-Boschi: “All’estero vincono i Sì. Del resto, si parla di cervelli in fuga”. E ricordiamo lo slogan della campagna elettorale attuale: “Vota la Scienza. Vota il PD”. Il voto al PD come valido processo di peer-review per valutare il tuo quoziente intellettivo.

La soluzione offerta dalla sinistra a questa deprimente espansione numerica del volgo, fino a qualche anno fa, era “investire in istruzione”. Solo un popolo colto può davvero capire argomentare riflettere bla bla bla. Ora invece far studiare laggente aggratis rientra anch’esso fra quelle promesse “irresponsabili”, almeno per il PD (che preferisce l’azzeramento del canone Rai: peraltro, una promessa non più rimpallata dagli addetti alla campagna elettorale di Renzi, probabilmente perché troppo ridicola e demagogica persino per loro). Ed allora, il “popolo della sinistra”, dall’alto della propria cultura civica, sta percorrendo una nuova strada, particolarmente innovativa. Aprite l’Internet, andate su Repubblica.it o sul profilo facebook di Burioni (disclaimer: sono tutto fuorché un no-vax), e troverete centinaia di commenti (e di rispettivi likes) inneggianti al restringimento del suffragio universale attraverso l’introduzione di “test di logica o di educazione civica” prima di concedere la tessera elettorale, spesso conditi dall’immancabile “Umberto Eco lo diceva che Internet…”. Per chi, come me, ha una certa conoscenza delle società latinoamericane, è impossibile non notare le somiglianze fra questo tipo di argomentazioni dessinistra e i peggiori strilli delle destre cilene o argentine contro esos rotos ignorantes resentidos (“quei cafoni ignoranti pieni di risentimento”).

E’ forse superfluo avanzare un paio di notazioni: a) quando il PCI prendeva il 34% dei voti, non avevamo una percentuale di laureati in filosofia pari al 34% del corpo elettorale; b) la concessione del suffragio universale è stata sempre ferocemente avversata dalle élites, tant’è che non si può parlare di “concessione”, ma di “conquista” da parte delle classi popolari, le quali vedevano nella democrazia la possibilità di far prevalere la forza del numero a quella del denaro e delle armi. Libri fondativi della scienza politica, nell’area dello studio delle cause della nascita e del consolidamento delle democrazie (si pensi al volume di Rueschemeyer, Rueschemeyer e Stephens, del 1992, o a quello di Acemoglu e Robinson, del 2001), hanno autoritativamente argomentato che le élites sono di per sé ostili alla democrazia, e la possono sopportare solo quando hanno una ragionevole speranza di vincere le elezioni o quando le reali decisioni politiche vengono prese al di fuori delle legittime istituzioni statali (si veda anche, a questo proposito, lo splendido volume di Winters, “Oligarchy”).

Gli italiani il 4 marzo debbono dunque scegliere se essere etichettati come pezzenti, come coglioni o come rincoglioniti. Ci auguriamo sia l’ultima volta che le elezioni nazionali vengano ridotte ad una simile scelta. Ci auguriamo vivamente che gli italiani e le italiane, in futuro, possano votare con la speranza di migliorare le cose, con entusiasmo, con gioia. Perché la democrazia è una cosa troppo bella per essere lasciata in mano a questa classe dirigente. Perché c’è molto lavoro egemonico da fare per estirpare razzismi, classismi e vacui moralismi dalla nostra società.

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