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Filosofi, politici e capetoste. Due anni di Senso Comune dopo le Frattocchie

11 Settembre 2019

Nell’agosto del 2017 ero in Calabria con la pancia (quella dove alcuni vedono il centro di decisione politica) che mi si torceva per la campagna elettorale che il movimento di cui facevo parte stava portando avanti per le regionali in Sicilia. Luigi Di Maio, o meglio Casaleggio Grillo e chissà chi altri, aveva deciso di iniziare ad inquinare i pozzi sul tema immigrazione partendo dall’infelice slogan di “taxi del mare”, la base era divisa come al solito tra talebani e riflessivi, ma non era questa la cosa peggiore: la cosa peggiore era la totale irresponsabilità con cui il progetto di comunicazione veniva portato avanti e gli effetti che aveva sull’opinione publica. Io sapevo che per me era giunta l’ora di cambiare orizzonti, da tempo seguivo altri progetti, tutti ben definiti e tutti inequivocabilmente costruiti intorno ad una sincera anima socialista (non ci ammazziamo troppo sulle definizioni per favore), ma ero piuttosto scettico per via delle scottature precedenti e della natura in qualche modo fisiologicamente “escludente” di determinati contesti politici, pensavo di essermi preso la sinistrite e mi vedevo vecchio e solo a discettare di teorie marxiste dietro una tastiera. In quella settimana Senso Comune pubblicizzava la prima scuola estiva sul lago Trasimeno, il blog era l’unico che non esprimesse la forte dimensione identitaria tipica dell’ambiente e l’invito ad un week end di confronto e formazione con ospiti stranieri mi sembrava un buona occasione per mettere il naso fuori casa, il tono era leggero e suggeriva che non ci sarebbero stati troppi gradini fra le cattedre e la platea.

Ecco, quel primo nucleo di comunardi era composto da gente che nel mezzo dell’estate non trova di meglio da fare che  vedere dove deve andare a parlare di politica a settembre, e soprattutto non vede l’ora di farlo. Samuele Mazzolini, Paolo Gerbaudo, Tommaso Nencioni, Matteo Bortolon, Marcello Gisondi, Thomas Fazi, Ernico Padoan, Simone Gasperin, Irene Romiti, Stefano Bartolini,  Marco Adorni e tanti altri  avevano passato molto tempo a studiare le evoluzioni politiche e gli errori della sinistra e avevano elaborato un apparato discorsivo che si rivolgesse ad un pubblico diverso, disposto a cercare soluzioni nuove  e senza troppi preconcetti culturali. Avevano lavorato bene, metà dei presenti non veniva dal mondo della sinistra ma stava lentamente formandosi opinioni nuove, molti, me compreso, avevano avuto la loro prima esperienza col Movimento Cinque Stelle. L’immagine del post che indicava la strada per l’isola, una bandiera di SC con la scritta “IL SOL DELL’AVVENIRE… SI SCHERZA EH!”, è la migliore espressione di quello che fu lo spirito di quel week end e degli incontri successivi.

In due anni  abbiamo fatto una decina di eventi di rilievo, popolato la bolla politica di nuove idee, abbiamo perso alcune persone per la strada ed altre, di più, ne abbiamo incontrate, abbiamo stretto rapporti personali e siamo cresciuti politicamente. La scuola politica 2019 è stata un evento pazzesco, abbiamo organizzato così tanti seminari che è mancato il tempo per socializzare, e se proprio bisogna trovare un errore è senz’altro questo. D’altro canto  abbiamo conosciuto professionisti e intellettuali di prim’ordine che ci hanno lasciato tanto. Non c’è stato un panel che si sia concluso senza dover interrompere le domande e la discussione per il ritardo, le aule erano sempre strapiene e popolate da tanti volti nuovi. A Frattocchie ho assistito per la prima volta ad una discussione sulle autonomie differenziate che non comprendesse solo meridionali, sono rimasto incantato davanti alla lucidità di Carlo Galli e Inigo Errejon e ho fatto le cinque di mattina a discutere di politica con persone che non conoscevo. 

A Senso Comune va il merito indiscusso di aver posto la prima pietra di questa comunità. Adesso viene il momento di alzare l’asticella e l’assemblea costituente di Patria e Costituzione mi sembra che abbia espresso delle ottime premesse. Ci sono già vari argomenti su cui si è soffermata la maggior parte degli interventi: come relazionarsi col nascente governo? Che nome dare al soggetto politico? Quale forma di organizzazione assumere? Quali idee e progetti su Europa, lavoro, questione di genere, ecologia?

Stefano Fassina nella lunga relazione introduttiva ha ben spiegato le ragioni della sua fiducia al governo giallorosso. Si vota la fiducia per stare nella politica e nelle dinamiche legislative di un governo che ha già il merito di non aver portato il paese alle elezioni con la vittoria di Salvini, una fiducia condizionata e condizionante, libera da interessi particolari e per questo critica e autenticamente costruttiva: è anche il momento di avanzare proposte insomma, chi è pronto a rimboccarsi le maniche? Del resto “il partito non è lo stato” come ha mirabilmente sintetizzato Fabrizio Barca nella sua lezione, semmai il partito è il soggetto deputato alla critica dell’azione di chi dello stato fa parte nelle sue istituzioni. Sulla questione del nome poi, nonostante la posizione di velata minoranza, Fassina è il primo ad aver accennato ad una motivazione di merito, ipotizzando la fase calante del momento populista ha difeso la necessità di non affidarsi per forza a dei significanti vuoti creando il rischio di un partito populista fuori tempo massimo, e in effetti la necessità di formulare proposte politiche di tipo più strutturato è stata espressa da tutti gli ospiti internazionali. Comunque vada a finire è indiscutibilmente un primo esempio di gestione assembleare dei problemi, se altri protagonisti momentanei della nostra breve storia avessero avuto altrettanta accortezza nel formulare le proprie posizioni magari ci sarebbe stato un confronto più costruttivo.

Per quanto riguarda l’Europa, considerando che il relatore più moderato sulla questione è Alfredo D’Attorre, lo stesso che due anni fa ha dichiarato che la sinistra dovrebbe chiedere scusa agli italiani per come ha gestito la moneta unica, mi pare si possa tranquillamente affermare che le idee sono piuttosto chiare, semmai è la loro traduzione in politica che va discussa o, ancora meglio, sperimentata. L’intervento di D’Attorre è un piccolo saggio di oratoria: come condensare in otto minuti la propria posizione politica, illustrare i passaggi fallimentari delle altrui posizioni, e interrogare tutto il pubblico in merito alla questione con un messaggio appropriato ed attento ai codici espressivi. A cosa ci hanno portato le millantate italexit di questo anno e mezzo? Siamo sicuri che sia il modo migliore per affrontare la tematica anche alla luce degli interventi internazionali della scuola?

Proprio la due giorni di formazione in un luogo così simbolico però pone una domanda fondamentale agli avventori più navigati di questo week end. Siamo stati nel posto dove il PCI ha creato e alimentato una scuola che permettesse anche agli operai del dopoguerra di discutere di teorie marxiste e, perché no, arrivare nelle istituzioni mettendo in difficoltà controparti molto più titolate. È stato il modo migliore per contribuire alla crescita del paese e del partito. È evidente che chi lo ha fatto fosse convinto della necessità di far crescere tutta la comunità anche a costo di mettere in discussione la propria posizione, a partire dal privilegio di essere meglio attrezzato di altri ad affrontare  sfide politiche. Siamo pronti a proseguire su queste premesse? Perché una sincera volontà di costituire un soggetto politico maturo è il punto di partenza principale per garantire allo stesso piena cittadinanza nel ritorno alla politica.

Veniamo ora alle capetoste. È inutile negare che se non fosse stato per la costanza di Silvia, Laura, Carlo, Marcello, Maurizio, Tommaso, Stefano, Stefano P., Lorenzo, Ornella, Giuseppe, per la preparazione di Paolo, Simone e Matteo, per l’estro di Samuele, e mi scusino tutti gli altri che non ho inserito, ora non staremmo qui a ragionare su come è meglio organizzarsi per andare avanti. Volevamo allargare il campo politico a punti di vista diversi da quelli esistenti e i due giorni di Frattocchie dimostrano che ci siamo riusciti. Ognuno ha contribuito come poteva ma di sicuro si è sempre trattato di contributi fondamentali.

Senso Comune è riuscita in due anni nel vero obiettivo che ci si era prefissati, rimescolare i rapporti di significazione politica e rappresentare istanze presenti nella società che venivano semplicemente ignorate, allargare la base di ascolto per costituire un nucleo di attivisti abbastanza largo da intraprendere azioni politiche. Si tratta di un successo. Godiamocelo!

Da domani si ricomincia, Senso Comune continua a fare quello che gli riesce meglio nel solco di un progetto politico più grande. 

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