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Lo spettro della UE. 2 – Il pilota automatico

23 Dicembre 2018

Pochi paesi si sottraggono all’abbraccio mortale delle politiche neoliberiste e di austerità. Ma la loro implicazione nella struttura della UE rimane problematica. Per quanto diverse realtà, specie di sinistra antagonista, l’abbiano criticata, quasi sempre rimaneva una critica senza sbocco. Per quanto le varie forze politiche divergessero sul giudizio, una cosa le univa. Il tratto comune che tutte avevano era la concezione della integrazione europea come uno spazio politico. Cioè come un campo d’azione che si poteva modellare a seconda dei rapporti di forza. Per cui una Ue governata dalle destre sarebbe stata pro-business e reazionaria; se diretta dalle sinistre di governo avrebbe visto un capitalismo temperato da venature compassionevoli; le sinistre “vere” la avrebbero portata verso il socialismo e la giustizia.

Era una concezione errata, gli eventi della crisi del debito lo hanno mostrato chiaramente: Ue e euro costituiscono un sistema istituzionale dotato di regole ben precise derivanti dall’imprinting mercatista ed oligarchico impressovi dai suoi creatori. Smarrire il nesso fra costruzione UE e le sue implicazioni portava blasonati intellettuali progresssiti a frustare il neoliberismo come il peggiore dei mali, evitando accuratamente di porre in campo delle reali misure per rimuoverne le cause.

Le direttrici fondamentali della UE possono essere considerate la forma locale dei processi di finanziarizzazione, le cui finalità erano e rimangono:

  • Eliminare le politiche keynesiane a favore della primazia della accumulazione finanziaria;
  • Stabilire concorrenza e competitività come elementi vincolanti e coercitivi per le politiche nazionali, sovraordinati rispetto alle indicazioni delle norme costituzionali in materia di welfare, tutela del lavoro;
  • Allontanare le decisioni economiche dalle istituzioni elettive e permeabili al voto in favore di organismi tecnocratici indifferenti al consenso popolare;
  • Limitare le prerogative di bilancio e spesa degli Stati in nome di parametri arbitrari ed infondati ma assai limitanti l’interventismo statale in favore dei ceti popolari.

Gli strumenti sono stati: la primazia dei governi rispetto ai parlamenti, il mercato unico europeo (con la liberalizzazione di centinaia di settori) costruito con le “quattro libertà” di circolazione di merci, servizi, persone e capitali; uno slittamento di funzioni crescenti verso Bruxelles, e l’istituzione di una banca centrale totalmente irresponsabile rispetto ai parlamenti democratici; la quale, anzi, agendo in convergenza con le banche centrali nazionali divenute sue articolazioni, può contare su una quinta colonna interna, sabotando eventuali processi politici “sgraditi”.

Non solo quindi l’economia si è blindata in un sistema impermeabile alle necessità sociali ma, ancora peggio, la forma di tale sistema coincide nel nostro contesto con il progetto europeo, quello che il campo “progressista” ha sempre difeso come fonte di benessere e fratellanza.

Mario Draghi in una risposta ad una conferenza stampa (7 marzo 2013) ha dato un saggio di tale raggelante assetto:

  • Giornalista: Vorrei un suo commento sulla incertezza creata dalle recenti elezioni italiane, nella quali molti hanno votato per partiti che rigettano quella disciplina fiscale che lei va propugnando.
  • Draghi: I mercati si sono meno impressionati rispetto ai politici e a lei; deve considerare che molto dell’aggiustamento fiscale intrapreso dall’Italia continuerà col pilota automatico.

Nel corso della crisi sarebbe risultato chiaro che non solo la politica economica era bloccata col “pilota automatico” ma che in caso di tentativo di “sabotaggio” da parte di qualche sovversivo, sarebbe intervenuto immediatamente un commando armato per rimettere le cose “a posto”. Ovvero in caso di indisciplina provvedeva la BCE a minacciare la chiusura delle banche, quindi al collasso del sistema finanziario del paese “ribelle”. Come era successo con la Grecia, appunto, e quasi con l’Irlanda (la minaccia aveva avuto il suo effetto immediato).

Le imposizioni della Troika e della BCE hanno comportato una redistribuzione di risorse verso l’alto semplicemente inimmaginabile. Secondo il recente rapporto UE  sugli aiuti di Stato i soldi con cui sono state aiutate le banche ammontano a 1,4 trilioni di euro (1 trilione= 1000 miliardi). A breve scadenza non poteva non balzare all’occhio che si trattasse di un tema centrale: mentre la disciplina fiscale tanto perorata da Draghi e l’intera nomenclatura comunitaria spingeva verso privatizzazioni e restrizioni della spesa pubblica, si permetteva di dispensare quasi il 10% del PIL continentale alle banche (si veda l’immagine sottostante): 

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A questo andava aggiunto tutto il corredo di politiche di austerità imposto alle popolazioni: 14 pacchetti legislativi in Grecia, per citare l’esempio più plateale, che hanno polverizzato sicurezze sociali, lavorative, pensioni e salari.

Si vede come Emiliano Brancaccio avesse ragione nel correlare strettamente la possibilità di una scelta difforme dalle imposizioni della UE con l’affermazione dei diritti socioeconomici; l’impossibilità di far deviare il pilota automatico di Draghi non solo implica l’assoluta inutilità di qualsiasi forza che pretenda di essere emancipativa (condannandola a dover fingere di fronte ai propri sostenitori); ma sfida la stessa distinzione concettuale fra destra e sinistra (che se sono condannate a convergere sui temi centrali si distinguono sono per modalità identitarie avulse dalle necessità popolari più diffuse).

La congiuntura attuale vede una forte affermazione delle forze antisistema, di marca populista identitaria (UKIP, movimento di Le Pen, partito di Wilders, Lega) o populista democratica (Podemos, France Insoumise, Labour di Corbyn). Entrambe recuperano delle categorie di lettura politica che li pongono in rotta di collisione con l’establishment (nonostante la prima abbia spesso una approssimazione analitica che rende scettici sulla sua reale incisività). Il resto dello spettro politico pare profondamente in affanno. Nel campo progressista se il PD si allinea con i poteri dominanti, le realtà più radicale si dividono  fra il cercare rifugio identitario dei temi più antagonisti agitando occasionalmente lo spettro dell’Europa e un riformismo soft dal sapore di sogno disneyano che si sperava mostrasse la corda dopo la crisi greca. 

Non si può far finta che in Grecia non sia successo nulla. Quello che occorre con più urgenza è quello che in molti consessi è stato chiamato “piano B”: scassare il pilota automatico senza farsi tagliare le gambe dai poteri eurocratici. Le alternative sono convergere col sistema dominante o ritirarsi negli spazi residuali, cioè non affrontare i problemi o diventare parte di essi.

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