Cultura | Politica

Per un femminismo populista

24 Settembre 2018

Elementi chiave dell’esperienza di Senso Comune sono l’eguaglianza come ideale e la trasversalità del discorso come strumento. Su queste basi è partita, quasi un anno fa, l’esperienza del gruppo di lavoro “Disuguaglianze di genere”. Crediamo che Senso Comune debba evitare gli estremi sia del femminismo liberal – che vede in una parità formale l’orizzonte ultimo della sua azione, a vantaggio solo di poche élite di donne – sia di nuove declinazioni di biologismo reazionario – che a partire da una malintesa critica al capitalismo, vorrebbero relegare la donna ad un ruolo presuntamente prestabilito di madre e subalterna. 

Tali estremi trovano paradossalmente un punto di contatto nel considerare la donna come un’entità a sé. Negli ultimi anni c’è stata una vera e propria esplosione di commercializzazione del femminismo liberal, reso modaiolo da star del cinema e da una produzione di gadget e libri sul tema: si celebra il successo delle donne e la necessità di porle in posti di potere, senza farsi domande sulla natura spesso oppressiva del potere in questione. Che cos’è questo se non il trionfo del liberismo e del potere oligarchico vestiti di rosa? Il femminismo liberista esalta la donna in quanto tale, acriticamente, senza guardare alla sua appartenenza sociale o alle sue idee, ma considerandola solo per il suo genere. Ma allontanarsi dal femminismo liberista non deve spingere all’errore di immaginare una società arcaica, in cui il ruolo della donna torni ad essere naturalmente subalterno, riesumando stereotipi ormai smentiti da decenni di studi su una presunta “predisposizione” femminile per alcuni ruoli ed ambiti. La contraddizione insita nel neoliberismo consiste in un iper-sfruttamento produttivo che erode lo spazio temporale e materiale della riproduzione sociale (cioè del lavoro domestico e di cura). Se uomini e donne vengono sfruttati nella sfera produttiva, nessuno ha più tempo per dedicarsi alla riproduzione sociale. Dato che il lavoro produttivo si fonda sul lavoro riproduttivo e ha bisogno del suo sostegno, si entra in crisi. Si crea quindi una doppia spaccatura in seno alla società, che assume un fortissimo carattere di classe e di razza: da un lato sta chi si può permettere di assumere donne provenienti da contesti sociali e nazionali svantaggiati da impiegare nella sfera della riproduzione sociale, dall’altro sta chi semplicemente non se lo può permettere. Chi trae vantaggio da questa situazione sono le donne ricche, chi viene sfruttato sono le donne meno ricche e soprattutto le donne migranti, le quali sono penalizzate in tre sensi: come donne, come straniere, e come povere.

Ciò che proponiamo per far fronte a questa situazione è un femminismo populista, ben consapevole delle conquiste teoriche e delle lotte degli ultimi decenni, ma che miri a radicare la sua azione nelle maggioranze sociali con un’attitudine aperta e popolare. Abbiamo visto negli ultimi anni questo tipo di populismo femminista in azione in diversi paesi. Nostre fonti di ispirazione – oltre agli studi di Nancy Fraser, Angela Davis, Silvia Federici, Clara Serra, Ilaria Boiano, Luciana Cadahia – sono le esperienze sorte negli ultimi anni in Spagna e nel contesto latino-americano, accompagnate da forze politiche populiste (come Podemos o il Kirchnerismo argentino), che sono state in grado di favorire un senso comune diffuso più egualitario, e degli avanzamenti nei diritti.

Sostenendo, accompagnando ma anche criticando i movimenti di massa, queste forze hanno contribuito a rendere popolare il femminismo: non sono partite da astrazioni teoriche comprensibili solo a ristrette cerchie di intellettuali o militanti radicali, ma hanno praticato un femminismo popolare, con obiettivi politici chiari e trasversali, vicini alla vita quotidiana delle persone.

In questo senso, la nostra azione sarà quella di un femminismo che si occupi dei temi sociali, dalla parte delle maggioranze che hanno subito la crisi economica, la riduzione del welfare e la precarizzazione. È fondamentale riconoscere che tali fattori penalizzano tutti, donne e uomini, ma non si può negare che colpiscano in maniera più netta e devastante le donne, che oltre ad avere molto spesso più lavori svilenti e sottopagati, solitamente cercano di supplire tramite il lavoro di cura alle mancanze del welfare. Le donne sono il bersaglio di una doppia offesa: della svalutazione del lavoro – che colpisce anche gli uomini – e dell’assenza di strutture preposte alla riproduzione sociale, che le penalizza maggiormente e specificamente. Questo iper-sfruttamento della donna non si limita tuttavia a danneggiare soltanto lei. Se il neoliberalismo fa del lavoro di riproduzione sociale un lavoro servile (cioè non pagato) è perché ad essere in crisi è anche la sfera della produzione, laddove anche gli uomini sono costretti a lavori precari e sottopagati. La sfera riproduttiva investe quella produttiva e viceversa, sbilanciando nuovamente il rapporto, che dovrebbe essere paritario, tra uomo e donna. È anche in queste implicazioni universali che risiede l’importanza vitale di un femminismo progressista, che possa aiutarci a costruire una società più giusta e più eguale. Per questo motivo, la nostra attenzione va specialmente a welfare e sanità, già fortemente colpiti da privatizzazioni e austerity, in un’ottica di genere e che mette al centro le persone più colpite dalla crisi. Pensiamo quindi a politiche per la famiglia e a strutture per l’infanzia, alla sfera della salute sessuale e riproduttiva (accessibilità alla contraccezione e agli assorbenti, diritto all’interruzione di gravidanza garantito, consultori pubblici, laici e con personale sensibilizzato). Pensiamo, ancora, al lavoro: in uno scenario già fortemente caratterizzato da disoccupazione e precarietà, particolare attenzione sarà posta su temi come molestie sul luogo di lavoro, part-time involontari, divario salariale, politiche che permettano ai genitori di conciliare lavoro e famiglia, strumenti per facilitare il reinserimento delle lavoratrici madri dopo il parto.

Riteniamo inoltre necessario occuparci del fenomeno della violenza di genere, senza seguire i sensazionalismi della cronaca e senza appoggiarci a soluzioni repressive e giustizialiste. A questo proposito, in merito alle recenti campagne mediatiche contro le molestie sessuali, crediamo che si debba prima di tutto rendere protagoniste di tali lotte le donne “comuni”, quelle delle maggioranze sociali. Solo così possiamo sperare di creare un senso comune che sia empatico verso le vittime anche in chi minimizza le molestie o non ne comprende la criticità. Tuttavia, dobbiamo anche uscire da una visione vittimistica, contrappositiva e minoritaria, per abbracciare invece una dimensione propositiva, che coinvolga gli uomini nella nostra battaglia invece di stigmatizzarli come molestatori a prescindere. È necessario abbandonare molto del moralismo che caratterizza, soprattutto in ambito statunitense, i movimenti anti-violenza. Bisogna tenere ben presente i vari livelli di gravità e sfumature che esistono tra diverse molestie, così come è fondamentale considerare il fattore della dimensione dei rapporti di potere. 

Crediamo che questo obiettivo possa essere raggiunto perseguendo la logica di un femminismo populista. Un femminismo populista è anche un femminismo strategico, consapevole, come scrive la filosofa e militante di Podemos Clara Serra, che «le battaglie non si combattono tutte nello stesso momento, ma una alla volta; che la politica esige i suoi tempi e implica a volte giri larghi, e che per cambiare la realtà non c’è niente di peggio che voltarle le spalle, invece di partire da essa. Le più nobili pretese di radicalità e rottura con l’ordine esistente possono molte volte rappresentare la maniera più efficace per consolidare quell’ordine e assicurarne la permanenza». Un femminismo populista deve, in sostanza, fare «un uso politico e non morale della nostra identità». 

Puntiamo ad un linguaggio semplice e accessibile a chiunque, aperto alle grandi maggioranze sociali. Dobbiamo rendere la nostra proposta politica accattivante, aperta, popolare e trasversale, e ciò passa da un linguaggio che invogli a scoprirla. Crediamo anche che sia necessario evitare il linguaggio contrappositivo e aggressivo che spesso ha caratterizzato i movimenti femministi: pur non negando le conflittualità e i problemi esistenti in relazione alle disuguaglianze di genere, cerchiamo di risultare accattivanti, persuasivi, soprattutto con lo scopo di coinvolgere anche la parte maschile, e in generale chi non è già interessato alle questioni di genere, nella nostra elaborazione politica, e di convincerli a cogliere gli aspetti positivi e i vantaggi delle nostre proposte. 

Non crediamo alle quote rosa: come la politica italiana ha dimostrato negli ultimi anni, garantiscono il più delle volte una presenza numerica formale delle donne, ma non vanno ad aggredire le cause della minore partecipazione femminile in politica, né vi pongono rimedio in modo efficace. Essere una donna non garantisce di per sé una maggior sensibilità e consapevolezza verso le tematiche di genere: anzi, precisamente in questa lettura “differenzialista”, che attribuisce alle donne qualità specifiche ed “innate”, senza nemmeno considerarne la provenienza sociale, è possibile ravvisare elementi di forte problematicità per impostare un femminismo sociale e radicalmente politico, capace di emancipare le donne dalla loro condizione di subalternità. Con questo, non vogliamo negare le difficoltà che troppo spesso le donne incontrano nel fare politica, e che possono essere ricondotte, tra le altre cose, a stereotipi e insulti sessisti, e a mancanza di tempo per la vita pubblica dovuta sia a lavori spesso precari sia a squilibri all’interno delle coppie nella gestione del lavoro domestico e di cura. Riteniamo che sia opportuno agire direttamente su questi fronti, attraverso politiche a favore delle maggioranze impoverite dall’austerità, dalle privatizzazioni e dalla crisi. Per quanto riguarda la partecipazione femminile interna a Senso Comune, pensiamo che strumenti di auto-analisi in relazione, ad esempio, alla presenza femminile nel pubblico o tra i relatori delle nostre iniziative possano aiutarci a riflettere e, eventualmente, ad adottare accorgimenti che possano favorire un impegno femminile nel movimento. 

Lavinia Collura, Marcello Gisondi, Olimpia Malatesta, Laura Pinzauti, Ornella Punzo, Irene Romiti, Rolando Vitali

 

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