Cultura | Politica

Il diritto di ambire

26 Luglio 2017

(Riflessioni liberamente ispirate a conversazioni, ahimé, realmente accadute)

I cattivi esistono ancora. Non lo fanno apposta, forse non sono neanche così cattivi, ma proprio non ci arrivano. I cattivi sono le nostre “élite cosmopolite”, quelle che da qualche terrazza arredata con gusto e con vista sul monumento principale di qualsiasi città del mondo, teorizzano, tra un bicchier di whisky ed un caffè (entrambi rigorosamente di filiera corte) sulle sorti del paese. Una generazione intera di persone tra i 45 e i 55 anni che si conoscono tra loro, che occupano tutti i punti decisionali – dalle case editrici ai quotidiani ai posti in parlamento ai consigli di amministrazione delle principali aziende. Un mondo trasversale e internazionale in cui è più plausibile andare a fare la spesa per cena a Piccadilly Circus partendoci da Venezia che all’ipermercato di Marghera. Un mondo completamente scollegato dalla realtà, che, quando non opera con malizia, opera con una disarmante ingenuità.

Questi cattivi qui sono quelli che hanno accesso per sé e per i propri figli ad una rete di opportunità e informazioni qualificata e privilegiata, che consente loro di muoversi tra Eaton e l’Ivy League e leggere best-seller indiani conosciuti mentre cercavano sé stessi tra le cime dell’Himalaya. Sono quelli che operano sulla base di teoremi morali e leggi di comportamento applicabili praticamente solo a loro stessi e che su queste basi decidono il destino di milioni di persone. Ti parlano di meritocrazia, di ambizione, di intraprendenza. Riescono a sostenere davanti a un aperitivo, con aria candida come se ci credessero davvero, che “solo chi non desidera migliorare la propria posizione sociale finisce per fare lavori sotto-qualificati e sottopagati ed essere infelice tutta la vita”. E dunque che il concetto stesso di pensione sia sbagliato in quanto “un compensativo di una vita di schiavitù dato che nessuno più fa lavori che non gli piacciono e potresti continuare a lavorare per sempre”.

E poi ci siamo noi. Noi, tutti quelli nati senza ricevere in eredità non solo un capitale economico iniziale, ma anche più semplicemente senza un capitale relazionale di qualità. Noi, tutti quelli cui spesso nessuno dice che si può ambire a qualcosa di più, che gli orizzonti non finiscono sotto il cartello topografico del paese in cui si è nati. Noi, tutti quelli che crescono in ambienti in cui la gente fa l’operaio, il cameriere, lo spazzino, la commessa. Noi che da bambini abbiamo genitori che ti dicono che solo studiando come un matto puoi colmare quel capitale sociale che ti manca. Ma anche tutti quei “noi” i cui genitori non possono trasmettere questa ambizione di crescita sociale attraverso la scuola, e che non ce l’hanno manco più una scuola che possa trasmettergliela. Perché quelle stesse élite cosmopolite con i figli a Yale hanno pensato che fosse meglio convincere tutti che studiare non servisse a niente. Quando distruggono la scuola pubblica privano tutti quei “noi” dell’unica opportunità qualificante che avranno nella vita per far sì che qualcuno dica loro che le opzioni nella vita sono infinite, che si può fare altro invece di morire nella periferia in cui si nasce. Con una campagna culturale di vent’anni che ha martellato tutti con “tanto non cambia un cazzo se c’hai una laurea” “vai a fa’ il cameriere guadagni di più” sono riusciti a far sì che la gente smettesse di crederci, nelle possibilità di un ascensore sociale ascendente, e loro si sono creati una nuova leva di schiavi che non immaginano neanche che possa essere possibile fare qualcosa oltre che le commesse al supermercato sotto casa.

Quella stessa élite ti parla di ambizione. E ti dicono che sei un “looser” che non merita la pensione se fai un lavoro che non ti piace, dopo che han fatto di tutto per garantirsi questo esercito di lavoratori da sfruttare per finanziare i loro aperitivi davanti a cui elaborare inique teorie sociologiche.

Ecco. Questo è il nemico. Questi che ti tolgono le pensioni e le scuole pubbliche non perché pensano non siano economicamente sostenibili, ma perché sono così autoreferenziali da credere come precetto morale che siano ingiuste come principio e che “se sei ambizioso ce la fai comunque”.

E allora sì. Noi di Senso Comune siamo ambiziosi. E la nostra ambizione è di ridare alle persone normali la possibilità, vera, di ambire. Di dare a tutti un’opportunità per saperlo, che la vita non è predestinata.

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