Paese | Politica

L’Italia di fronte alle peggiori elezioni della sua storia

12 Febbraio 2018

Chi ancora conserva un minimo di memoria storica non faticherà a riconoscere che queste possono essere legittimamente considerate le peggiori elezioni politiche in Italia. Seppur vittima di una deriva oligarchica ormai pluridecennale, il Belpaese non aveva mai visto una campagna elettorale così insulsa, becera, priva di spunti. Nei talk-show televisivi, maree di promesse e acri battute tra i contendenti celano un’assenza sconcertante di idee, se non una loro ancor più sconcertante consonanza.

Per quanto riguarda le prospettive, lo scenario è desolante. Un magnate ottuagenario che ne ha combinate di cotte e di crude – sia sotto il profilo politico che giudiziario – si appresta a vincere di nuovo, salvo non poter essere nemmeno eletto in Parlamento, dato che una legge lo inabilita a competere direttamente. Silvio Berlusconi è come un’araba fenice: tante volte lo hanno dato per morto, altrettante è risorto dalle proprie ceneri. Lo affiancano, con programmi elettorali sostanzialmente diversi in un’alleanza di centro-destra mai così conflittiva in fase elettorale, il lepenista Matteo Salvini (che fino all’altro ieri voleva dividere l’Italia in due e scherniva i meridionali), e qualche altra escrescenza post-fascista.

Dall’altra parte, il centro-sinistra è alle corde. Il Partito Democratico paga la scarsa lungimiranza di un leader che, neanche quarantacinquenne, è ormai bruciato a causa di una foga e una strafottenza che l’hanno già reso inviso a gran parte dell’elettorato. Se da noi Emmanuel Macron ha dimostrato una talento fuori dal comune per incorporare le critiche degli avversari e volgerle a proprio favore, Matteo Renzi è riuscito invece ad alienare tutto e tutti. Dal canto loro, le propaggini del PD – Più Europa, Insieme, Civica Popolare -, formalmente indipendenti, non contano più di pochi punti percentuali.

Il Movimento Cinque Stelle, da parte sua, veleggia a ridosso del 30%. Questo risultato gli assicurerebbe di essere il primo partito italiano, ma sarebbe solo secondo rispetto al centro-destra nel suo complesso e lontano dalla possibilità di formare un governo. Nel frattempo, il movimento è rimasto pressoché orfano del suo comico fondatore, ormai palesemente distanziato dall’attività politica, e ha scelto come uomo di punta Luigi Di Maio, un giovane dell’ala destra del movimento che non ha mancato di diluire tutte le (poche) cose buone che un tempo venivano proposte dai grillini. Egli riprende ormai da parte sua la retorica sull’austerità necessaria e la riduzione della spesa pubblica.

Il momento di vero interesse sarà il periodo post-elettorale. I bookmakers, qualora il centro-destra non avesse la maggioranza, scommettono su una grande coalizione tra l’ottuagenario Berlusconi e Renzi (il cui avvenire sembra compromesso): o più difficilmente, ci potrebbe essere un’alleanza tra il lepenista Salvini e di Maio del M5S. Bisogna prendere sul serio le riproposizioni di alleanze post-elettorali, che hanno permesso all’Italia, nel corso degli ultimi anni, di ottenere stabilità politica a colpi di tradimenti e scissioni di gruppi parlamentari. La classe politica è notoriamente abituata a correre in soccorso del vincitore. Questo tipo di scenario potrebbe riproporsi, a prescindere da quale coalizione ottenga la maggioranza relativa.

E a sinistra? La sua assenza dal gioco politico e dagli scenari post-elettorali la dicono lunga sull’irrilevanza degli eredi di una gloriosa storia italiana. Un tempo la più influente del Continente, la sinistra italiana è oggi quasi inesistente. Alla sinistra del PD, si è formato un cartello elettorale battezzato “Liberi e Uguali”, il cui demiurgo è Massimo D’Alema. D’Alema, quello delle privatizzazioni, della flessibilità lavorativa, dei trattati europei … A forza di portare i brandelli del Pci sempre più a destra, D’Alema e i suoi hanno trovato chi lo faceva meglio di loro e, emarginati nel partito, ne sono usciti recuperando una presunta identità di progressisti. Ma l’orizzonte rimane quello di un centro-sinistra tradizionale, votato a un malcelato credo neoliberale. Non è un segreto che un Pd depurato dall’influenza di Renzi li farebbe ritornare all’ovile.

Non a caso è stato scelto come capofila Pietro Grasso, presidente del Senato, un profilo iper-istituzionale e carente di qualsiasi vena carismatica. Ciò che risulta di difficile comprensione, se non per opportunismo, è invece l’adesione a questa formazione di Sinistra Italiana, guidata da Nicola Fratoianni. Sebbene non abbia mai dimostrato di essere un soggetto particolarmente originale, Sinistra Italiana sembrava aver assunto un profilo di netta distanza rispetto alla pratica e alla cultura politica incarnata dagli ex PD. Questa incompatibilità la si può constatare con l’apparizione di tensioni interne che sono emerse al momento della presentazione delle liste elettorali. Si può legittimamente pensare ad una nuova divisione dopo le elezioni,

Cosa dire invece di Potere al Popolo? Ad essere obiettivi, l’unico riconoscimento che si può concedere a questa nuova formazione è quello di essere stata messa in piedi da un gruppo di giovani napoletani distintisi per lodevoli azioni di mutualismo e radicamento sociale. Tuttavia i meriti finiscono qui. Nonostante l’inserimento della parola popolo nel proprio nome, siamo ben lontani dalla strategia populista che ha fatto le fortune di Podemos prima e de La France Insoumise poi. L’ottica rimane quella di unione delle lotte anche se l’Italia non vede alcun movimento degno di tal nome da ormai molto tempo. L’appello alle lotte rivela dunque un’illusione. Potere al Popolo riproduce gli errori sistematici della sinistra italiana: ad ogni timida manifestazione sindacale parte il refrain “da questa piazza dobbiamo ripartire”; senza mai che sia definita una direzione, né il perimetro di questa coalizione. Potere al Popolo si contraddistingue per una cultura minoritaria, che affiora ad ogni angolo: il movimento dice che non è importante raggiungere il 3% necessario a sbarcare in parlamento (e al momento molto lontano, dato che Potere al Popolo sembrerebbe attestarti sotto l’1%); e le azioni promosse sono quelle dei militanti tradizionali il cui numero è ormai rarefatto e le cui prospettive scarsamente seducenti per un elettorato eterogeneo. Il quadro è completato da una collezione di frasi velleitarie, di pugni alzati, di radicalismo mal sbandierato, di purezza ideologica ostentata ai quattro venti.

Potere al Popolo si attarda ancora a rivendicare il monopolio della “vera sinistra” di fronte ai suoi concorrenti. Sulle reti sociali la campagna si limita spesso a spiegare che “la vera sinistra” non è “Liberi e Uguali” ma “Potere al Popolo”. Come se una tale lotta per l’etichetta potesse interessare chicchessia e mobilitare gli italiani … Potere al Popolo non è capace di proporre un orizzonte alternativo e un progetto globale. Il movimento è ancora privo di incarnazione e non ammette l’importanza del fatto di avere un leader che eserciti una funzione tribunizia, e l’importanza dei mezzi di comunicazione moderni nell’elaborazione di una moderna strategia politica: Viola Carofalo non è Pablo Iglesias, né Jean-Luc Mélenchon. Al di là delle buone intenzioni, dunque, il linguaggio e l’estetica impiegati rendono il movimento incapace di allargare la propria base. Sul tema europeo, infine, Potere al Popolo mantiene un’ambiguità di fondo, bloccata com’è dalla possibile alleanza che stabilirà con il sindaco di Napoli De Magistris, a sua volta già schieratosi con Yannis Varoufakis in vista delle elezioni europee del 2019.

In Italia non sembrano ancora dunque mature le condizioni per l’apparizione di una forza politica progressista capace di coalizzare aspirazioni trasversali e capace di vivere fuori dal fantasma del PCI, e che vanifichi la strategia populista del M5S, che è riuscito ad articolare un certo numero di aspirazioni e che seduce un buon numero di elettori venuti da sinistra. Il paradosso è che queste elezioni rivelano quanto il campo politico italiano sia esausto, e che esiste dunque l’opportunità per elaborare un tale progetto. L’Italia ne ha un urgente bisogno.

 

Pubblicato su Le Vent Se Lève il 9/2/2018. Traduzione di Tommaso Nencioni. 

Articoli Correlati

Problemi e limiti dello sviluppo democratico in Italia (III)

Problemi e limiti dello sviluppo democratico in Italia (III)

Nel 1956 la rivista socialista Mondo Operaio pubblicò una serie di articoli di Lelio Basso dedicati all’analisi delle tare strutturali e di lungo periodo della democrazia italiana. Lo storico esponente della sinistra socialista denunciava il carattere predatorio del...

Problemi e limiti dello sviluppo democratico in Italia (II)

Problemi e limiti dello sviluppo democratico in Italia (II)

Nel 1956 la rivista socialista Mondo Operaio pubblicò una serie di articoli di Lelio Basso dedicati all’analisi delle tare strutturali e di lungo periodo della democrazia italiana. Lo storico esponente della sinistra socialista denunciava il carattere predatorio del...

Problemi e limiti dello sviluppo democratico in Italia (I)

Problemi e limiti dello sviluppo democratico in Italia (I)

Nel 1956 la rivista socialista Mondo Operaio pubblicò una serie di articoli di Lelio Basso dedicati all'analisi delle tare strutturali e di lungo periodo della democrazia italiana. Lo storico esponente della sinistra socialista denunciava il carattere predatorio del...