Cultura | Politica

Dopo il referendum, da ricostruire è il popolo (e non la sinistra)

6 Dicembre 2016

La valanga di No non ha sepolto soltanto una (brutta) ipotesi di riforma costituzionale, ma anche la compagine governativa che l’aveva varata. Le reazioni isteriche da parte dei renziani spodestati sono di grande utilità per comprendere alcuni fenomeni sotto i nostri occhi. Non si tratta soltanto della riedizione della rabbia già vista in passato ad ogni sconfitta del centrosinistra. Qualcosa di più profondo è venuto maturando nel corso di questi 20 anni che ci separano dalla crisi della Prima Repubblica. Lentamente ma progressivamente è avvenuta una mutazione identitaria e politica. Stare al governo è diventato un valore in sé, un nuovo idolo. Per stare al governo si è stati disposti a distruggere i diritti del lavoro senza risolvere nessuno dei problemi in campo. Per stare al governo si sono difesi banchieri, frantumato risparmiatori, elevato a classe dirigente giovani politicanti interessati solo ai propri interessi. Alla fine hanno perso il lume, non c’è da stupirsi, ed oggi non riescono a capire cosa è successo.

La lezione che si ricava dal voto al referendum costituzionale è che la legislazione cara alle oligarchie nazionali ed internazionali è destinata a scontrarsi con la volontà del popolo. E questo a prescindere dalle vesti sotto le quali si presentino i presunti riformatori: siano esse il loden di Monti, il chiodo di Renzi o doppiopetto di Berlusconi. Per cambiare la Costituzione non si potrà che passare per un processo costituente condiviso e che ridia un ruolo di primo piano al popolo italiano. La democrazia potrà essere salvata solo ridando rappresentatività popolare ad una politica oggi monopolio di un ceto di professionisti che rappresenta solo sé stesso e i propri interessi personali. Solo ridando voce e rappresentatività ai precari, agli artigiani, ai ceti medi indeboliti e alle classi popolari la democrazia italiana potrà essere salvata da una regressione reazionaria ed autoritaria.

Ora al popolo del No, irriducibile a qualsiasi etichetta partitica, è necessario dare delle risposte. Così come a chi ha votato Si spinto da una genuina ansia di rinnovamento degli equilibri immobili della Seconda Repubblica. È tempo di mettere in campo un progetto di radicale cambiamento sia delle politiche che delle pratiche oligarchiche imperanti nell’ultimo quarto di secolo. Iniziando con lo sgombrare il campo da alcune pericolose illusioni. L’unione di più debolezze non fa la forza, scrivevamo nel nostro manifesto. Se c’è una cosa che questi ultimi 25 anni hanno dimostrato è stato il fallimento dei progetti di centrosinistra. Non sarà da un nuovo accordo tra settori di ceto politico e pezzi residuali di una sinistra del tutto confusa sulle prospettive strategiche che scaturirà una risposta in grado di avviare un percorso di mobilitazione popolare. Quel progetto è fallito. La soluzione non può essere nemmeno una “ricostruzione della sinistra”, con la riaggregazione di gruppi politici autoreferenziali. L’unica via praticabile oggi è la creazione di un progetto politico che miri ad aggregare la maggioranza sociale del paese.

Non è la sinistra a dover essere ricostruita, ma il popolo.

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