Cultura | Politica

Contro trasformismo e dilettantismo, una nuova classe dirigente popolare

24 Dicembre 2016

Le cronache di tutti i giorni ci parlano di come in Italia ci sia sul tappeto una questione enorme relativa alla selezione delle classi dirigenti. L’intreccio costante tra amministrazione e malaffare, se da un lato ripropone ad ogni tornante la questione dell’immoralità ed irresponsabilità delle élites politiche ed economiche del nostro Paese, dall’altro è spia più generale di un problema politico: quello cioè della subordinazione dei partiti ad interessi oligarchici e particolaristici, e della loro impermeabilità alle istanze popolari.

Nel corso della cosiddetta Seconda Repubblica le assemblee elettive sono state progressivamente colonizzate da un ceto politico allettato dalle alte prebende e garante dei soli interessi dell’oligarchia. Una pletora di azzeccagarbugli, incaricati di tenere in ostaggio le istituzioni, ha pascolato nelle aule parlamentari. Innumerevoli cambi di casacca hanno elevato il trasformismo a elemento fisiologico dello scontro politico, e la durata delle legislature è stata condizionata più dalla volontà di perpetrare il proprio status di privilegio da parte di una casta autoreferenziale che dalla dialettica tra quanto si muoveva nel paese reale e le dinamiche dello scontro parlamentare.

È da sottolineare in proposito che quando sono sorti scandali a proposito della “compravendita di parlamentari”, il più frequente agente corruttivo è stata la semplice promessa di rielezione. Il trasformismo non ha afflitto il solo polo berlusconiano, né si è limitato a fenomeni, ancorché frequenti, individuali: cos’ha rappresentato il governo Renzi se non un esperimento di trasformismo di massa, messo in piedi da parlamentari di centro-sinistra eletti sulla base di un programma opposto a quello del rignanese e supportato da parlamentari di centro-destra eletti in competizione con i loro colleghi, formalmente seduti nell’ala opposta dell’emiciclo?

La spudoratezza di questo meccanismo, assieme allo smaccato asservimento di assemblee così composte agli interessi delle oligarchie, ha innescato lo sdegno sacrosanto della gente comune e gonfiato le fortune elettorali di un partito come il M5S, totalmente al di fuori di queste logiche, e che anzi nasceva in esatta contrapposizione ad esse. Ma, al di là dell’opacità con cui anche il grillismo seleziona i suoi rappresentanti – che lo espone all’accusa di riprodurre meccanismi di dipendenza degli eletti al capo del partito piuttosto che al popolo -, i fatti di questi giorni ci dimostrano l’inconcludenza di un movimento sorto sulla base dell’esplicita rinuncia a formare una classe dirigente.

L’utopia della possibilità per ogni cittadino di poter passare dallo status di rappresentato a quello di rappresentante è vecchia quanto l’idea stessa di democrazia, e va senz’altro abbracciata e incoraggiata. Ma mentre le oligarchie hanno a disposizione potenti “agenzie di formazione” tra cui reclutare i propri rappresentanti – banche, grandi aziende, televisioni – il movimento popolare ha il compito di darsi un’organizzazione finalizzata non solo alla rigorosa selezione, ma anche all’acquisizione di sapere amministrativo da parte dei gruppi dirigenti di estrazione popolare.

Al fine di evitare la degenerazione della vita politica possono essere escogitate alcune misure concrete attinenti al campo delle regole – quali la drastica riduzione degli stipendi dei parlamentari statali e regionali, divenuti un elemento strutturale di corruzione della dialettica parlamentare; l’introduzione di un severo tetto di spesa per le campagne elettorali e per il finanziamento ai partiti da parte delle grandi corporations, che si comprano così una legislazione ad esse favorevole; l’introduzione della revocabilità del mandato come argine al trasformismo dilagante. Ma sta soprattutto ai movimenti popolari escogitare forme nuove di selezione di una classe dirigente di origine popolare e non aliena agli interessi della gente comune, per opporsi con credibilità all’oligarchia ed ai suoi azzeccagarbugli che hanno dominato la vita politica degli ultimi anni.

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