Cultura | Sport

Il gioco, lo sport e il prodotto TV

21 Febbraio 2020

Sostiene Gianni Clerici che è successo ad un certo punto che il suo gioco prediletto, il tennis, si è trasformato in uno sport. L’aspetto della prestanza fisica dei protagonisti ha prima affiancato e poi fatto premio sull’aspetto del loro talento, salvo ormai rare eccezioni. Nel tennis questo fenomeno è forse più visibile che altrove, dal momento che ha coinvolto addirittura il modo di vestirsi degli atleti, che ancora fino agli anni ’50 si aggiravano, con movenze che paiono rallentate a vederle oggi, per i campi (rigorosamente in erba o in terra battuta) con eleganti vesti bianche e lunghe. L’ultimo resto di questa tradizione lo vediamo ancor oggi a Wimbledon, dove rimane in vigore l’obbligo del bianco, al quale le case di abbigliamento sportivo sono costrette ad adeguarsi. Anche se ormai l’erba scompare consumata solo a fondo campo, visto che la mutazione raccontata da Clerici ha reso desueta la pratica del serve-and-volley.

Il discorso può essere allargato a tutti gli altri (ex) giochi. Vogliamo mettere a confronto il fisico mingherlino, quasi segaligno, di Mazzola o di Rivera con quello di Ronaldo o di Ibrahimovic? Non che la preparazione fisica non fosse curata allora, ché Maradona quando era Maradona si allenava eccome. Così come oggi senza il talento non si fa carriera, è ovvio, ai massimi livelli. Ma i due aspetti, nei campionissimi, convivevano, perfettamente sintetizzati nell’intelligenza motoria di un Pelè. A partire dagli anni ’90, addirittura, la cura maniacale nella preparazione fisica ha colpito anche laddove meno ce la spettiamo: Gustavo Zito, ai tempi del professionismo profumatamente pagato del biliardo auspice la nascente Tele+, fu il primo a legare palestra e abbattimento dei birilli, portando una innovazione decisiva in un ambiente fino ad allora evocativo di Alfa senza filtro e Bianco Sarti. Già da tempo, va da sé, le maltodestrine e gli integratori avevano sostituito nella dieta del ciclista la bistecca che Biagio Cavanna aveva consigliato a Fausto Coppi. Senza contare il ruolo giocato con sempre maggiore incidenza dal doping, in questo passaggio dalla civiltà del gioco a quella dello sport.

Ora assistiamo al terzo stadio di questa mutazione, quello del passaggio dallo sport al prodotto TV da mettere sul mercato. E da far apprezzare, in conseguenza, anche a chi, per cultura o per legittima mancanza di conoscenza dei meccanismi classici del gioco, è attratto solamente dagli aspetti più immediatamente spettacolari. Il gol, il canestro, e sì, anche i birilli che cadono su un panno verde. Bisogna vendere la NBA ai cinesi, la serie A agli americani, i campionati di boccette al pubblico generalista di RAI Sport. E dunque le regole del gioco (pardon, dello sport, o dello show) si devono adeguare per mettere in risalto quegli aspetti immediati dello spettacolo TV. Conta poco che le regole del fallo di mano in area siano oramai grottesche, Ronaldo deve fare gol per 27 partite consecutive; che se Harden ti cade addosso perché inciampa gli vengano concessi 3 tiri liberi e quindi il difensore sia costretto a lasciargli uno spazio siderale, così la ditta può magnificare i suoi 57 punti; che i palloni con cui si gioca oggi siano poco meno che saponette, i SuperTele della nostra infanzia. Conta che la rete o la retìna siano scosse. E se comunque, come spesso capita, non succede niente sul campo, i telecronisti devono supplire con un surplus di esagitazione gratuita, quando non riempirci il cervello con dettagli tecnici insignificanti che verrebbe la voglia di dir loro, come succede al bar col vicino molesto, “stai zitto un attimo che voglio vedere la partita”.

A regole vigenti, Maradona segnerebbe 128 gol a stagione, o, in alternativa, le squadre che subissero la sventura di ritrovarselo contro sarebbero ridotte a 9 effettivi dopo un quarto d’ora dal fischio d’inizio. Gentile e Bruno giocherebbero il derby tra Grassina e Antella. Il Trap allenerebbe all’oratorio da quando il guardiolismo ha ridotto il calcio ad una variante della Pallamano. Ma la terza mutazione è ormai avvenuta, e i prossimi mondiali li vedremo a dicembre, perché nel Quatar a giugno ci fa troppo caldo. I centravanti vanno quindi tutelati, meno i manovali, spesso migranti, che sono morti per lavorare in condizioni disumane alla costruzione dei nuovi stadi dell’emirato, letteralmente cattedrali nel deserto. Ma i soldi sono già scivolati nelle tasche giuste, altri ancora ne scivoleranno, lo spettacolo è assicurato, il gioco e lo sport sono un’altra cosa.

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